Genesi dei Trionfi - poemetto di Alessandro Scalzaferri



Alessandro Scalzaferri 

 


Genesi dei Trionfi

  

poemetto 


Presentazione

Nell’Anno del Signore 1200, un anziano chierico vagante, giudicato eretico e dunque perseguitato, trovava asilo nella città di Béziers, distintasi per la sua tolleranza nei confronti delle credenze professate dalla comunità dei Catari. Qui, al riparo dal fanatismo dilagante, iniziava una laboriosa e paziente investigazione nel mondo dell’occulto da cui si sentiva affascinato. Il vecchio saggio confidava di potere travasare tutte le sue conoscenze in un sistema di ventidue figure simboliche che descrivevano il Mondo nelle sue sfaccettature e corrispondenze segrete. 

Dopo otto anni sigillava in un manoscritto la chiave per interpretare l’impianto iconografico dei 22 Arcani, inseriti in un mazzo di carte da gioco: una novità proveniente dal mondo arabo, un originale intrattenimento ludico che i navigatori della repubblica marinara di Pisa avevano da qualche anno introdotto in Italia.

L’anonimo Artefice dei Trionfi attribuì al nuovo mazzo di 78 carte da gioco il nome latineggiante di Taroculi, (volgarizzati poi in Tarocchi) ovvero gli occhi del dio Taro: l’entità occulta che aveva ispirato le icone e reso possibile quel progetto. 

Naturalmente la Chiesa di Roma non rimase indifferente al propagarsi dell’eresia dei Catari e nel 1208 il Papa Innocenzo III proclamò una santa crociata proprio contro gli Albigesi, ossia coloro che abitavano nella città di Albì, nella regione della Linguadoca, popolata da una nutrita schiera di eretici che mettevano in discussione l’autorità del 

Pontefice romano, la sua infallibilità e soprattutto criticavano il lusso degli ecclesiastici, dediti più ai piaceri mondani che alla preghiera.

La guerra santa, che portò alla distruzione della città di Bèziers e alla morte di tutti gli abitanti, senza distinzioni d’età e di sesso, servì per dimostrare il potere della Chiesa di Roma contro gli eretici e per offrire una prova di forza che costituisse un monito rivolto a tutti i riformisti futuri. 

Il poemetto ripercorre l’antefatto storico che fece maturare la gestazione e la nascita dei ventidue Trionfi: gli Arcani Maggiori dei Tarocchi; inoltre ne illustra la natura: dal Mago alla Papessa, passando per il Folle e l’Innamorato, percorrendo i sentieri dell’Eremita e la passione degli alchimisti, catturando gli influssi della Luna e delle Stelle, giungendo fino alle soglie della fine dei tempi. 

Nel rammentare la persecuzione dei Catari, la Genesi dei Trionfi, opera sotto certi aspetti attuale, stigmatizza ogni forma di fanatismo religioso e auspica, alla luce della ragione, il rispetto dei valori della tolleranza.




Arcano Numero 1 
Il Mago
 
Uno stuolo pezzente e benedetto,
guidato da nobiluomini avidi 
in cerca di fortune,
avanzava e saccheggiava
le contrade della Linguadoca,
rese più fertili col sangue sparso degli eretici 
sbudellati come animali da macello.
Per arginare la santa crociata,
bandita contro le terre dei Catari,
la fragile e spaurita comunità perseguitata  
sussurrava voci di speranza vana
e alimentava le pagane superstizioni  
ancora diffuse nelle genti.
“Roteando; la vindice spada del Mago 
provoca vortici d’aria 
capaci d’annientare il nemico.” 
“Copioso, dalla coppa sgorga 
un’elisir medicamentoso.” 
“L’aurea moneta capta l’oro lucente 
nascosto negli oscuri meandri della terra.” 
“La magica bacchetta, 
ricavata dal legno di noce,
fa vibrare l’essenza racchiusa 
nei quattro elementi fondamentali della vita,
e levitare i corpi, 
leggeri come fiamma d'alchimista.”
Sulla scia delle voci ascoltate,
i ragazzi favoleggiavano 
attorno alle virtù straordinarie del Mago,
loquace con gli spiriti boschivi, 
capace di colorarsi come scorza, 
pronto a fondersi con la zolla 
e rimescolarsi alle nubi,
bigie e maculate, 
per rinverdire con la pioggia l’arido suolo.
Mimetizzate con fare sornione, 
le subdole spie dell’Inquisizione
in silenzio ascoltavano e aizzavano
all’odio contro ogni sparuta schiera
in ginocchio nel ricevere 
devota gl’influssi astrali, 
attratti dalla bacchetta del Mago:  
simbolo vivente di tutte le creature, 
generate dal Numero 1.
E, per esorcizzare i malefici roghi, 
si celebravano riti per pochi iniziati, 
e le idee dei Catari, 
imbavagliate e temute, 
venivano travasate in tavolette colorate, 
assomiglianti a semplici carte da gioco, 
per essere trasmesse di padre in figlio 
e caricarsi con l’energia 
delle smaniose mani, capitate
sulle icone dispensatrici di buona e cattiva sorte. 
Fu così che la nascita del mondo, 
progetto collettivo di tutti gli Dei, 
venne ricondotta alla vitalità portentosa 
scaturita dal magico illusionista,
abile ad incantare i villani con gli effetti 
prodigiosi della sua prestidigitazione. 
Le anime benedette dei crociati, frattanto,
si guadagnavano un cantuccio di paradiso,
dando l’assalto al simbolo più vulnerabile
delle contrade macchiate dal marchio dell’eresia,
nemiche della Chiesa romana
e purificate col ferro e col fuoco 
del giudizio di Dio.
Quando la carta del Mago
si era messa a piangere lacrime di sangue,
la città turrita di Bezièrs
stava contando le sue vittime:
ventimila innocenti: inermi donne
e indifesi fanciulli, 
perseguitati e puniti,
quali perseveranti protettori
di una minoranza eretica
in nome della libertà religiosa.
Oggi la carta del Mago si limita a sorridere
e produrre giochi d’illusionista
sul suo banchetto sgangherato,
per accattare l’attenzione dei passanti 
e qualche facile soldo.
Nei giorni di festa, 
il dovere ludico sbarca il lunario
tra divertenti passatempi soporiferi.
E le crociate, 
meno appariscenti e più misericordiose, 
hanno persino cambiato abito e nome.
 



Arcano Numero 2 
La Papessa
 
Mentre le campane battevano 
i rintocchi del vespro,
il vecchio occultista leggeva il destino
riservato alla turrita città di Bezièrs
nel ramificato intreccio della Cabala.
Lasciandosi cullare e rinfrescare
dall’energia sprigionata dai Numeri,
intravedeva l’orda degl’intolleranti
accerchiare le mura merlate,
fragili come lo stelo d’erba, piegato
dal turbine dei crociati.
Le lievi ore, sotterrate dai granelli 
di sabbia strappati al deserto,
nella clessidra d’Arabia
sommessamente svanivano.
Trascinato nel vortice 
del sapere spasmodico,
l’eretico Artefice dei Trionfi 
si bagnava la fronte 
con i Numeri del suo trattato
e, come un beduino lontano dall’oasi,
inseguiva il miraggio della vita immortale.
La sabbia finissima scivolava lenta
e impietosamente la dimensione 
dei Catari, scomunicati 
e colpiti da maledizione,
si consumava nello spazio angusto 
racchiuso dalla clessidra:
immoto presidio del fuggir del tempo.
Le faville, prodotte dai roghi purificatori,
a tratti già rilucevano
sull’icona sbiadita della vestale 
assisa dinanzi al Tempio.
La Papessa, statuaria e sacrale nella postura, 
estranea agli effimeri accadimenti del quotidiano,
troneggiava sull’inaccessibile santuario, 
dove erano custoditi gli occulti segni, 
trascritti su due impenetrabili libri, 
sorretti da mani opaline. 
La Sfinge guardiana interrogava 
i viandanti filosofi 
avventurati fino alle mitiche lande 
ospiti di sottile ed oscura sapienza.
La concisa risposta formulata da Edipo 
riecheggiava eterna.
“Siamo voci silenti nella notte.
Veniamo dalle sfere di luce.
Risaliamo l’iridescente arcobaleno.”
L’unzione battesimale del secondo Trionfo,
scandiva rarefatte sillabe blasfeme:
Papessa, 
custode della conoscenza
a fatica acquisita dai saggi 
d’ogni epoca e differente paese.
Secondo l’occultista, invecchiato Artefice
nella laboriosa gestazione dei Trionfi,
per crescere veramente innocenti e sapienti
avremmo dovuto serbare nella memoria
nostra madre accanto, a farci carezze d’amore.
Sfiorata l’ebbrezza di Edipo, 
mentre risolve l’enigma proposto dalla Sfinge,
avremmo potuto intendere la natura 
ambigua e sfuggente della presenza, 
che, velata, aleggia, 
vigila e confonde,
fin dai primordi, la nostra mente;
e forse spiegare l’intera storia del mondo,
afflitta da terrore e violenze,
su cui i poeti hanno profuso versi pietosi,
per rendere più degno il faticoso convivere
e sublimare l’egoismo antico 
nella catarsi purificatrice.
Assorto a distillare,
nell’alambicco della coscienza,
il caso con la Cabala,
lo scettico Artefice inseguiva
quell’entità spuntata dall’indistinto
e nascosta nei labirinti della memoria.
Forse apparteneva 
a un demonio cacciato 
dal paradiso delle litanie,
per avere interrotto il quieto andare 
e gettato un’ombra
sul divino Fattore ineffabile.
Forse lo spiritello misterioso
camuffava l’inquisitore di turno;
e, per suo volere, la Papessa 
mai avrebbe consegnato le chiavi
dell’esistenza al peregrinante Artefice, 
giunto per virtù e determinazione,
fino alla porta del Tempio.
Oltre le mura, s’intravedevano i fuochi
dei crociati accampati
e i visi dei nemici lontani
ben più nitidi dell’intruso 
insediato accanto al Numero 2.
Gli occhi stanchi si sentivano
colpevoli dell’ignoranza. 
Il filosofo incespicava sulle parole
che un oscuro demone apparecchiava
a bella posta per non farsi trovare.
Smarrito lo stato di natura
nessuno riusciva più a condividere le emozioni
e le vibrazioni affievolite 
non trovavano le giuste corrispondenze.
Le celesti doti restavano confinate nella poesia 
e nel quotidiano chiacchiericcio
si snodava l’esistenza violenta e vuota.
Il resto del vivente in silenzio 
mostrava indifferenza
verso il destino dei Catari.
Le verità, talora faticosamente agguantate
dai viandanti del sapere, 
si smarrivano nell’oblio 
risorgente che tutti confonde.
Si riproponeva sempre
l’interrogativo esistenziale 
perpetuato in una scalata infinita.
Il dannato Sisifo, che spinge 
il masso verso la vetta della montagna
e nuovamente ripete la medesima fatica,
incarna la metafora perfetta 
della condanna che il censore in ascolto 
riserva all’umanità, fino al giorno 
liberatore dell’Apocalissi.
Non sapere:
per smarrirsi nel labirinto delle ipotesi 
e scontare il peccato originario.



Arcano Numero 3
L’Imperatrice
 
A riscattare e proteggere
la comunità perseguitata dei Catari,
una creatura celeste era venuta anzitempo
per dare alla luce il figlio delle Stelle,
colui che avrebbe pensato e disegnato
i Trionfi: un sistema iconografico eterno,
costruito sull’incorruttibilità dei Numeri.
Simile a Dea, smagliante d’antico splendore,
era apparsa, già pregna, ansimante, 
protesa a risalire le dune,
uscita dall’abbraccio 
delle generose acque saline.
Una dovizia di donzelli, appartenenti a una setta
dedita ad antichi culti pagani, 
stava bagnandosi in una notte argentea 
sotto il segno della luna.
Lei non abitava quelle piane
e non parlava nessuna favella nota.
Dal collo pendeva un aureo monile 
di foggia strana:
un triangolo rovesciato e incastonato 
di gemme azzurro mare,
sorretto da fili intrecciati
e modulati sui colori dell’iride.
Gli occhi cerulei
nella notte erano fosforescenti,
la pelle era morbida e vellutata
e le labbra davano il piacere dell’ambrosia.
Ad accogliere la futura puerpera
il gruppo aveva disposto un giaciglio triangolare
di sabbia spianata, marcato da tre torce,
affinché tutti la potessero ammirare. 
E lei, dopo tre ore, all’alba, 
aveva dato alla luce un figlio,
accolto come il prodigio divino
benedetto dal firmamento.
Ispirata da un aedo, la giovane brigata
aveva intonato un dolce canto:
“O Regina del Cielo,
irrorata dall’albume cosmico: 
sottile energia discesa dalle Stelle, 
filtrata e assorbita dal mare 
che la dispensa abbondante;  
ci inginocchiamo
di fronte al tuo concepimento miracoloso. 
O feconda Madre, 
noi, tuoi devoti discepoli, 
per le vie del mondo 
andremo ad annunciare 
l’avvento dell’Imperatrice.
In una notte stellata
ci hai palesato il volto oscuro
del demone nascosto in noi.
Ci siamo purificati
alla luce dei tuoi occhi. 
Insieme al figlio delle Stelle, 
noi, Catari trasfigurati,
ripristineremo l’originario equilibrio, 
spalancheremo le porte del Paradiso, 
e racconteremo la tua diletta nudità corporale
immune dall’avvilimento della vecchiaia.
Noi, figli devoti degli Dei, 
siamo come foglie mosse dal vento, 
e siamo il vento che spira 
dai chiostri del tempo. 
Noi vati del Nuovo Mondo, 
pietosi figli dei Catari, 
sparsi per la terra, 
alla ricerca di un paese innocente.”
 



Arcano Numero 4
L’Imperatore 
 
Leggiadramente
quattro soavi fanciulle scalze
salgono i quattro gradini
antistanti il trono dell’Imperatore 
e incisi con simboli alchemici.
La prima, scaturita dal Fuoco, 
agile e scapigliata,
dalle chiome rosse ed occhi brillanti.
La seconda, figlia della Terra, 
muscolosa e forte,
con trecce scure come la lava solidificata
e le iridi ardenti simili a brace.
La terza generata dall’Aria, 
diafana, quasi eterea,
dai vaporosi capelli turchini
e lo sguardo impreziosito 
da due gemme diamantine.
La quarta uscita dall’Acqua, 
bagnata e pallida,
con ciocche verdi e umide 
e le iridi perlacee.
All’unisono le giovinette intonano 
un riverente saluto, in omaggio
alle prerogative dell’Imperatore.
Tutte spose amate 
e rispettate nel medesimo modo,
per nulla gelose, o in competizione,
ma solidali nella devozione 
e nell’ossequio del rituale.
“Il dominio incontrastato del sovrano 
permea la terra informe, 
ancor prima che il soffio spirato dal vento 
le desse l’impulso del movimento 
e la grazia arrotondata della donzella. 
La sua dimora è la montagna 
eretta con lava e fuoco  
che pare inghiottire anche il mare 
e fa tremare le fondamenta del mondo. 
La sua mano è nera come il carbone 
e possente come un macigno; 
l’occhio vede anche attraverso le nebbie 
e illumina le tenebre 
con il chiarore del fulmine.
Il suo trono è una scultura di marmo pario: 
un cubo perfetto 
che fonde i quattro elementi primordiali 
impressi a lettere d’oro, 
come segni d’alchimista 
ordinati a comporre un geroglifico.
La sua voce pare essere ovunque 
e nessuna barriera riesce a fermarla; 
a tratti si mescola al turbine del vento, 
o s’innalza come lingua di fuoco,
o scorre a valle come acqua di ruscello,
o penetra nelle viscere della terra
facendola sussultare. 
I suoi ordini sono legge 
perfino nelle contrade più sperdute 
e sulla scorza arborea 
c’è una visibile impronta 
dell’autorità imperiale.”
L’Arcano Numero fa riecheggiare 
la cosmica voce degli Dei artefici
e magiche sillabe s’intersecano
come in un cruciverba.
R   O   T   A
O   R   A   T
T   A   R   O
A   T   O   R
Svetta la grande ROTA:
governo delle sorti
riservate ai mortali indifesi.
In risposta la sommessa preghiera, 
cantata dai genuflessi figli dei Catari,
arriva fino alle contrade più sperdute 
e l’ORAT, profuso nelle litanie, 
rinvigorisce i cuori.
TARO, il demiurgo, 
racconta la genesi dei Trionfi
e un’alchemica decantazione avvolge 
tutti i misteri del mondo,
filtrati negli Arcani.
Un valoroso ATOR s’immola 
in un’impresa titanica per conquistare 
uno scranno eterno nell’iperuranio.
L’impari lotta alimenta il mito dell’eroe
e rende imperiture le gesta.
Sia lode all’Artefice 
che ci ha illuminati
con le ventidue icone. 
Le antiche virtù dei Trionfi
indicheranno come non smarrire la via.
Il quarto Arcano condensa 
le energie morali del saggio:
sapere e volere, osare e tacere. 
La divinazione non è patrimonio
dei fiacchi e dei superstiziosi;
neppure un’arte da tramandare,
bensì una conquista interiore.
L’iniziato deve rimanere concentrato
e lasciarsi attraversare dai propri fluidi, 
rischiando anche di sembrare egoista,
sordo alle voci querule e petulanti
gridate dai parlanti,
che si lasciano abbacinare 
dal verbo seducente degli scriventi.
Il saggio coltiva l’arte del silenzio,
per non dissipare invano le proprie energie,
e parla solo quando è indispensabile.
L’illuminato evita di fondare scuole di pensiero 
e non si affanna a cercare proseliti,
per non essere frainteso
e interpretato arbitrariamente.
Capta i quattro elementi fondamentali
presenti in lui e riesce a farli scorrere
come un rivo in piena nella coscienza,
costruita giorno per giorno,
senza fretta e con infinita pazienza,
attingendo la sapienza sparsa
nelle magiche icone dei Trionfi.
 
 


Arcano Numero 5
Il Pontefice 
 
A frotte i pellegrini, accorsi 
dalle contrade più sperdute,
aspettano di ricevere il segno
della mano benedicente 
e invocano miracoli e prodigi, 
scaturiti dal pastorale cruciforme 
che lega i quattro elementi fondamentali della vita 
confluiti nel vortice prodotto dalla quintessenza.
Il Sommo Pontefice, ammantato 
da aureola d’indiscussa sacralità, 
carezza le teste ai pargoli, 
freschi e trasudanti linfa vitale, 
per imprimere il sigillo della fede. 
La fiumana di gente si spalanca
davanti alla sedia gestatoria  
e intona litanie accattivanti 
che fiaccano la vigile coscienza 
sommersa da fumi d’incenso soporifero.
La posa ieratica del Pontefice
affascina la folla;
la sua parola ipnotizza.
L’estasi religiosa trionfa
e contagia tutti. 
Levita frattanto l’amore verso l’Empireo
e si alimenta l’odio per l'infedele. 
Un rogo brucia libri proibiti 
e ampolle d’alchemiche misture. 
Una strega blasfema 
arde insieme ai peccati 
condensati nel suo orgoglio miscredente. 
Mescolati nell’alambicco della fede
tutti gl’ingredienti cospirano
per indire una santa crociata
contro gli eretici della Linguadoca.
I Catari, stremati e impauriti,
aspettano, armati con la forza, scaturita
dalla Cabala intrisa nell’alchimia. 
L’Artefice mostra nei Trionfi
l’inganno primordiale  
alla luce della filosofia dei Numeri
e svela le complicità 
tra il Diavolo e il Pontefice,
scomponendo l’essenza del quinto Arcano.
5 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15
Gli strumenti cabalistici 
descrivono i sinuosi intrecci,
carezzevoli e avvolgenti del Maligno.
O vittima ignara, 
svelando le macchinazioni diaboliche, 
impara a intendere i Numeri: 
essi rivelano verità, 
condannate come empietà 
e tenute nascoste per millenni.
Il Pontefice, infallibile nel suo primato,
rigetta come eretiche 
le idee che possono smascherare 
il vero volto del Demonio.
Emersi dal limbo della follia,
i ribelli spalancano l’avvento alle nuove ere,
ma restano appesi ad un albero mutilato,
condannati al silenzio dell’anonimato
e abbandonati in terra sconsacrata.
Il Pontefice profana l’amore, 
condannandolo come impuro, 
ascolta i peccati 
attraverso i confessori, 
scava nel fondo della tua coscienza, 
perché ha per servo
uno stuolo visibile e invisibile. 
Spiriti, evocati col nome di Angeli, 
s’impongono alla credulità popolare, 
come creature inviate 
dal Signore di tutte le genti. 
Il quinto Arcano ha saputo captare 
i portenti della quintessenza; 
i seguaci si sono inginocchiati 
e lo hanno ricoperto con onori e ricchezze;
i sacerdoti gli hanno edificato una Chiesa
per ricevere oboli e lasciti in terre;
e, in nome di Dio, sono stati scritti 
sacri testi, a baluardo del suo potere.
Vittime dell’eterna persecuzione,
i Catari aspettano,
fino a quando un giorno 
vedranno infranto il primato
di Pietro, in ginocchio e prostrato 
dinanzi alla fine dei tempi.
Parola dell’Artefice
che seppe dar vita alle magiche icone
dette Trionfi, per aver resistito indomite
all’intolleranza fanatica dei crociati.
La sua opera imperitura
ha saputo rinverdire le speranze 
svanite nei perseguitati pellegrini:
eterni naufraghi 
alla ricerca di un porto sicuro
e di un paese innocente.




Arcano Numero 6
L’Innamorato 
 
L’emozione di scalare le vette 
del sublime furore sacro
e la tentazione torbida 
d’accarezzare l’amplesso profano
costringono l’Innamorato a macerarsi
nella logorante incertezza
di un estenuante immobilismo.
Brame licenziose
tormentate attese, 
sfinimenti nervosi,
ripensamenti e dubbi,
momenti dolenti in ginocchio.
Capogiri sensuali:
condanne eterne ad accarezzare
il bello, la malizia,
la grazia, la conoscenza.
Sarebbe preferibile attraversare 
nella sua immediatezza prorompente 
una fugace passione erotica
e restarne anche storditi, o inappagati;
piuttosto che rincorrere  
con smania e invano
impossibili baci 
e carezze smarrite.
L’Innamorato sembra prediligere
il tortuoso e insidioso cammino
segnato dai sospiri 
del desiderio accumulato. 
Volutamente si lascia macerare 
nelle vaghezze d’amore,
platonicamente sospeso
tra slanci mistici e ricadute carnali;
vittima condannata a vivere 
nel regno dell’insoddisfazione 
ingannevole e reiterata. 
Anche noi, schiavi e irretiti
dalla duplice seduzione,
restiamo immobili a dipanare la matassa,
persi nei labirinti dell’amore,
infranto, diviso.
Ogni più innocente sfioramento corporeo
passa attraverso le grinfie 
del satanasso ebbro 
e mai sazio di piacere,
che ci lusinga e ci respinge.
Gli umani sembrano condannati
a inseguire innamoramenti misteriosi 
ed osceni alambicchi.
La metamorfosi interiore
non viene mai raggiunta
negli orgasmi passeggeri
del quotidiano divenire.
Inquieti, non sappiamo rispondere
agli eterni interrogativi postici dalla Sfinge
e neppure conosciamo tutte le potenzialità
del corpo insoddisfatto, condannati 
a rincorrere miti, presi dal vortice 
dei girotondi illusori,
generati da indovini e profeti.
L’Innamorato colpito 
dai dardi di Cupido, 

non riesce a liberarsi dalla malia 

che immobilizza lo spirito 

e pietrifica la carne.
Rimane stregato 
dalle grazie e dalle lusinghe 

di due attraenti fanciulle

che, simili a mitiche Sirene, 
hanno paralizzato la volontà 

e legato il corpo 
coi lacci di un canto ammaliatore.
La brama inestinguibile 
ti prende dentro 

e ti fa ardere di voluttà 
come una candela nuda e splendente. 
Coi baci cerchiamo di dissetarci 

alla fontana dell’Eros 

e corriamo dietro all’eterna giovinezza 

per ingannare le rughe del tempo. 
Il dominio delle passioni dura un attimo 

e poi ridiventiamo schiavi 

delle carezze d'amore.
Il nostro corpo si appesantisce 

sotto il fardello degli abbracci 

e invecchia, tradito 

dalla perdita dei fluidi amorosi. 
Quando era preso da smania concupiscente,                                                              
l’iniziato ai misteri esoterici
disegnava due simbolici 

triangoli parzialmente sovrapposti: 

uno con la punta rivolta verso l’alto 

e uno capovolto; 
quasi a volere visualizzare 
i tormenti erotici e l’estasi della rinuncia.
La mano, agitata dal conflitto
della passione, percorreva più volte
il tracciato del poligono stellato 

per ascoltare la voce del cuore, o della ragione.
Nel momento cruciale 
sopraggiungeva l’illuminazione,
e sfogliava le pagine dell’Apocalissi
per incontrare il Numero 666
e provare in un solo momento
i brividi della Grande Bestia,
che si alimenta nei languori
di tutti gl’innamorati, 
avviluppati e trascinati 
dalle rapide dei flutti temporali.
L’lluminato Artefice, quantunque tentato, 
non alimenta più i sospiri irrefrenabili
partoriti dal demone inconscio 
e risponde con naturalezza ai divieti 
imposti dalle regole sociali;
giacché in maniera serena 
ha saputo dipanare gli Arcani 
e disporli secondo l’ordine della Cabala 
per raccontarne la genesi.
 



Arcano Numero 7
Il Messaggero degli Dei 
 
Anticamente l’ermetico Messaggero
affidava le parole dettate dai numi
ai pochi eletti degni d’ascoltare.
Nel corso dei tempi,
la sola sapienza, unita alle virtù, 
non bastavano più a decifrare i segni oscuri 
inviati dal lacrimoso cielo.
I templi innalzati agli Dei immortali
intristivano, intravedendo
all’orizzonte il culto
dell’ineffabile, unico Dio.
I suoi profeti raccontavano 
che l’Onnipotente aveva plasmato 
la specie umana a sua immagine 
e somiglianza, affidandole l’anima, 
destinata ad attingere
le sublimi delizie paradisiache.
Il settimo Arcano, 
secondo l’Artefice che aveva disegnato i Trionfi,
incarnava la missione del divo Hermes:
eretto auriga trionfante
disceso a confortare e confondere
con messaggi criptici per nulla consolatori.
Il sette: numero taumaturgico
vincente e definitivo.
Sette: le note musicali,
i colori disegnati dall’arcobaleno,
i sigilli che spalancano l’Apocalissi, 
i giorni della creazione.
Il cartomante esperto legge sette carte
sintesi d’ogni situazione, 
descritta esaustivamente
da sette Trionfi.
Ancor oggi, ai confini dei lidi di luce, 

accarezzati dal lento frangersi dei flutti, 
s’intravedono le orme lasciate 

nella quiete della marina 

dai puri di spirito che hanno solcato 
quelle benedette contrade.
Oltre le bianche dune, 

disegnate dalle brezze, 

anche il vento tace
e ti senti pervaso
da una rara felicità, 

come una particola nel tutto. 
Un delicato aroma florale 

ti accarezza 

e ti fa vibrare teneramente 

mentre leviti nell’eterea 

dimora degli Dei. 
Il vate messaggero 

inviato dai signori del tempo, 

trasportato nel vortice generato dall’elio, 

dirada le tenebre 

e sette arcobaleni 

disegnano le volte celesti 

per annunciare la discesa 
dell’aureo cocchio 

e il trionfo dell’armonia 

sulle schiere figlie di Satana. 

Il attinge la vitalità portentosa 
emanata dal Numero 1

e l’attesa pensosa trasmessa dal Numero 6. 

Il unifica la forza generatrice 
scaturita dal Numero 3
e l’autorità indiscussa del Numero 4.

Il decifra i dualismi 
insiti nel Numero 2
e la natura occulta della quintessenza.
Il triplice spalanca 

le porte alla palingenesi, 
il 21:
punto d’arrivo di tutte le cose. 
“O figli prediletti dei Catari,
affidatevi ai sette colori racchiusi nell’iride
per proteggervi dalle ombre della notte 

e dalle subdole, suadenti voci
dei demoni invisibili,
generati dall’ineffabile inconscio.”
Parole dell’Artefice dei Trionfi.
Per non profanare il sublime,
mai avrebbe osato rappresentare
su carte da gioco
criptiche manifestazioni 
d’angeliche creature.
Alcuni riferiscono,
incredibile a dirsi, 
che l’occultista intravedesse 
la mano sapiente dei numi
negli atomi democritei.
“In alto 
vi sono solo nuvole. 
In basso 
gli dei invisibili, lambiccando
nel vaso primordiale
i filamenti della vita,
hanno progettato una miriade
di mirabili creature.”




Arcano Numero 8
La Giustizia 
 
Il sapiente equilibrio, 
sintetizzato nel Numero 8
e visualizzato dal poligono ottagonale,
come sacro fuoco discende, 
insieme agli alati custodi, 

sulle 64 colonne disposte a scacchiera
a formare il tempio della Giustizia:
aperto, indifeso, esposto 
alle forze nemiche.
Fuori, assisi in terra, 
ciechi e silenti stanno 
otto giudici: simbolo
dell’ordine antico, 
violato dai tribunali
approntati dall’Inquisizione,
come tavolacci di tortura. 
I figli partoriti da Satana
segregano la diversità, 

reprimono la fantasia, 

alimentano la disuguaglianza, 

legalizzano i privilegi, 

rafforzano l’ignoranza, 

emanano sentenze di morte 

per i profeti del Nuovo Mondo. 
In troppe contrade l’uomo misero 

vive schiavo di un suo simile, 

più ricco e fortunato. 
Nelle città imperiali i sedicenti 
tutori preposti a far rispettare la legalità
tollerano le violenze dei più forti 

e torturano i deboli, 
depredandoli d’ogni bene. 
Ovunque la tua vita 

non vale un soldo, 

se non sei protetto dalle persone 

influenti che abitano quella regione. 
Da sempre i poveri 

accattano nell’immondizia dei ricchi 
e ringraziano Dio 

per essersi così sfamati. 
In ben noti sentieri, 

insospettati cavalieri ti calpestano 

coi zoccoli duri del loro cavallo, 

solo perché sei un semplice fante. 
Sacerdoti imbonitori alimentano 

la sottomissione nel nome del Signore 

e banchettano alla mense 
apparecchiate dai ricchi 

mentre il popolo muore di fame.
Esistono libri, dichiarati sacri, 

che non puoi mettere in discussione, 

su cui una casta privilegiata 

ha instaurato la sua incrollabile Chiesa. 
Giudici mercenari, 
ignorando le leggi, arbitrariamente,

ti condannano a qualunque tipo di pena, 

solamente perché sei uno schiavo 
senza diritti. 
I regnanti nascondono 
tutti questi orrori 

con un indecoroso silenzio 

e mantengono relazioni lucrose 

con terre ingiuste. 
Qui, nelle regioni bagnate dal grande mare, 

e là, oltre le colonne d’Ercole, 

governano usurpatori; e falsi profeti, 

unti nel nome del Signore, 

hanno esiliato la Giustizia 

che ora guida la diaspora 

dei Catari perseguitati.
Un giorno, infine,
tutto questo soffrire
avrà un riscatto finale.
E dalle nostre lacrime
nasceranno innocenti creature
in armonia col vivente circostante.
Nessuno vorrà primeggiare
e la babele degli egoismi
vacillerà per sempre,
dopo tanta sofferenza.
Parola dell’ottavo Trionfo.
Sia lode all’Artefice,
che ha indicato il cammino
per la nostra peregrinazione
e segnato le 22 tappe
della metamorfosi spirituale.
Era andato a cercare 
per mare e per terra
una remota plaga che ospitasse
il tempio della Giustizia,
ma è tornato alla turrita Bèziers.
Le mura destinate a crollare
hanno offerto impavidamente
asilo ed ospizio
a una torma reietta
d’eretici perseguitati.
La città della tolleranza
si è distinta per sempre
diventando il santuario
della Giustizia esiliata in terra. 
 


Arcano Numero 9
L’Eremita 
 
La cronaca dell’effimero
minuziosamente trascritta su tavole.
Ingannare i fugaci giorni
e scolpire l’effigie del transitorio.
L’occultista peregrinante
ha imparato a riscattare
la banalità del quotidiano,
rischiarandola col chiarore
emesso dai tre stoppini
della lanterna tetraedrica.
Un abito forse banale,
ma insidioso per la verità,
sempre abituata a nascondersi
nelle conversazioni dei saggi.
Una meticolosa effemeride
per fotografare il tempo,
appesantendolo con un fardello invisibile,
quasi a renderlo meno corrosivo e sfuggente.
Per anni l’Eremita 
ha ripetuto incessantemente
i medesimi gesti caduchi,
ma resi immortali 
da una cronaca incessante.
Accompagnarsi alle ombre notturne.
Inerpicarsi verso l’eremo della montagna.
Sorseggiare la fresca rugiada mattutina
dalle foglie boschive.
Distillare gocce di solitudine
nell’alambicco della propria coscienza.
Ascoltare le voci siderali
per entrare in sintonia 

con le vibrazioni del firmamento.
Proteggersi con il mantello.
Prevenire gli ostacoli del terreno 
con un bastone.
Quando le stelle 

fanno da corolla alle tenebre,

tracciare la mappa celeste 

per investigare la natura degli astri.
Gli eventi transeunti 
sublimavano nell’imperituro,
grazie all’incessante 
trascrizione dell’identico.
Una filosofia scaturita da un gioco di pazienza,
costruito con frammenti sparsi,
raffrontati, illuminati,
svelati nel loro silenzio ineffabile.
Anche noi, figli dei Catari, 

come eterni girovaghi sotto le stelle, 

abbiamo fatto luce 

diradando le ombre della notte.
E gli enigmi della vita 

abbiamo distillato 

in ampolle di vetro, 

entro cui abbiamo intravisto 

fibre immortali. 
Coi fardelli e le illusioni,

alimentate dai nostri alchemici sogni, 

abbiamo inseguito il divenire

nel suo enigmatico intreccio

e costruito mura ciclopiche 

con l’essenza dei Numeri. 
Serbando come unica compagna 

l’inestinguibile luce della lanterna, 

per rischiarare le ombre della coscienza 

e non dimenticare, sui fogli andati della vita, 

i giochi e gli abbracci forti 

della giovinezza. 
In una notte costellata di stelle, 

alleggeriti dal fardello 
dei nostri quotidiani tormenti,
rinvigoriti dai tenui bagliori,
irradiati dalle miche adagiate
e abbandonate nel fondo dei torrenti
dai cercatori d’oro,

con mente lieta accompagniamo, o fratelli, 
l’Eremita nella captazione 
della fievole luce, emanata
dalle infinitesime pagliuzze
sparse dal vento.
Tante vaghe, 
fuggevoli luminescenze,
fanno entrare in risonanza
lo spartito dell’armonia
creata dai Numeri.
E il disegno melodico originario,
in ombra,
risplende.
 



Arcano Numero 0
Il Folle 
 
Viandante e girovago, 

trasognato e assente, 

con l’abito del giullare 

e ’l pennacchio del cavaliere, 

per divertire con lazzi 

e intimorire, proferendo 
improvvise e lucide profezie. 
Fiero nei suoi logori e sudici panni, 

arricchiti da una preziosa fibbia d’oro 

e un bordone nodoso, 

intarsiato da incomprensibili simboli. 
Scandalizzati, abbiamo evitato
il confronto con il Folle, 

ma, al suo passaggio, siamo stati scossi 

nelle fondamenta delle nostre certezze. 
Mentre disegnava zeri perfetti 

e filosofeggiava sui punti della circonferenza, 

spalancando voragini sul non-essere, 

ci rammentava del nostro 
originario senso di colpa 

e sentivamo come rivelata 

la ragione della nostra inquietudine. 
In passato abbiamo anche elogiato 

la forza innovativa della follia, 

per entrare con la fiaccola del paradosso 

nel meandro delle verità. 
Poi ha prevalso il sonno della ragione 

e sono riapparsi trionfanti 

i mostri dell’intolleranza 

e gli orrori del fanatismo 
e della superstizione. 
Deliberatamente, non inconsapevolmente, 
il Folle va incontro all’abisso, 

ma nessuno ha avuto il coraggio 

di seguirlo nella sua coraggiosa rivolta 

e scivolare nella voragine del nulla, 

con la levità della sabbia 

che marca il tempo 

trattenuto nel fondo della clessidra. 
Un incubo incomprensibile 

per coloro che lo hanno visto 

risalire sorridente 

dalla solitudine bianca del vuoto, 

con in mano l’ineffabile nulla, 

condensato in uno zero: 

simile ad un buco cosmico 

pieno della forza del vento.
La follia degli uomini
palesa a tratti le verità
e il profeta sa riconoscere 
i frammenti sparsi del futuro,
solo dopo avere sperimentato 
l’estasi della stravaganza.
L’aedo sano di mente 
non ha mai vergato versi
degni d’essere ascoltati.
I temerari compiono atti sconsiderati,
tuttavia possono scoprire isole inesplorate.
Il talento musicale sottrae le note
all’abituale solfeggio
e crea l’irresistibile trillo.
L’alchemica mistura rarefatta
condensa in oro
quando la materia, apparentemente 
inerte e dormiente,
si lascia prendere 
dalla frenesia del ditirambo.
L’occhio accecato dal fulmine
rammenta le origini
e la logica edifica sistemi filosofici
fragili come il più fino dei cristalli.
Queste verità abbiamo ascoltato
dalle voci dei folli perseguitati
e tramandato alle cure
sapienti dell’Artefice dei Trionfi.
 
 


Arcano Numero 10
La Ruota della Fortuna 
 
Comparabile a un’enorme macina, 

mossa da maestose pale 

di un mulino a vento, 

eretto con ciclopici massi, 

dove i pellegrini, prostrati dal tempo 
passano via e non si fermano;

la Ruota della Fortuna, 

lentamente, inesorabilmente,
senza alcuna regolarità, 
schiaccia, o risparmia,
riserva alterne sorti,  

indifferente alla gioia e al dolore
delle creature chiamate all’appello,
senza alcuna possibilità di sottrarsi
e trascinate dentro
negl’ingranaggi del divenire. 
Assiepate nella fila 
assegnata ai predestinati,
non sono più libere di librarsi
le blande animule peregrinanti
in attesa della purificazione; 
manca lo spazio per spiccare 
il volo.
La moltitudine, 
fiaccata dalle fatiche del viaggio,
ricorda i fratelli già discesi,
poi caduti e inabissati 
nel fondo del mare. 
Tanta fragilità ci fa sentire impotenti 

nell’isola cosmica dimenticata,
dove siamo sbarcati 
senza sapere nulla.
La nostra inquietudine 

accompagna i tanti interrogativi 

nel mezzo di un universo sereno. 
Quando improvvisamente,
anche per noi si farà notte,
forse, entrando nell’eterno silenzio, 
neppure rammenteremo il ricordo
più dolce nella nostra vita,
o meglio del nostro passaggio.
Vivere, dicono e credono alcuni,
significa tornare,
ricominciare un nuovo ciclo,
affrontare altre incarnazioni
secondo il piano della metempsicosi,
in attesa della purificazione finale.
Veleggia verso le tenebre 
la mastodontica arca del divenire  

mossa da giganti, 

schiavi obbedienti 

soggiogati dalla fissità della Sfinge, 

signora e tiranna della Fortuna 
elargita ai mortali.
Impresse sul vessillo della città ribelle,
sventolano, 
come frammenti sparsi,
le quattro fatidiche lettere,
che la sapienza alimentata dalla Cabala 

insegna a decifrare.  
R   O  T   A 

O   R  A   T 

T   A  R   O 

A   T  O   R  
Suoni indistinti, divenuti poi parole.
Ruota. Occulto. Terrore. Alambicco. 
Orrore. Ricordo. Armonia. Trasformazione.

Terra. Aria. Ritorno. Origini.
Acqua. Terremoto. Oblio. Resurrezione.
Forse attimi, strappati
ad un imprevedibile gioco della Fortuna,
approntato da un demone 
che riesce a barare e divertirsi.  
O forse voci, 

mescolate e confuse entro lo stridore 
dell’ingranaggio che muove la possente Ruota.
O inimico infedele, inchinati 
di fronte al Trionfo Numero 10,
e travasa, lacrimando, la tua superbia.
Gli Arcani illuminanti
sono gli occhi di Taro:
demiurgo e Artefice
delle 22 magiche icone
archetipi dell’esistente.

  



Arcano Numero 11
La Forza
 
Sfiorata appena dalle mani sottili 
e dal candore della Donzella,
la fiera selvaggia si placa
e mansueta si accoccola ai suoi piedi.
Bella e di gentile aspetto, 

col suo tocco soprannaturale 

riesce a dare nuova linfa 

ai fiori appassiti del bosco; 

con la sua grazia e naturalezza di gesti 

incanta anche l’uomo più rozzo 

e ne ingentilisce l’animo trasfigurandolo. 
La postura rammenta 

una regina che, per essere rispettata, 

non ha bisogno d’indossare monili preziosi, 

o vesti sfarzose e non necessita 

di scorta al seguito. 
Quando la vedi, t’inginocchi 

come di fronte ad una dea; 

se invaghito, subito la desideri 

e avverti un amore 

privo di malizia e senza peccato. 
Il solo sguardo della Donzella

ti emoziona e ti fa vibrare 

all’unisono con le sue fibre. 
Dai suoi occhi non stillano lacrime 

ed è ancora agli albori dei tempi, 

nel Paradiso originario 

prima che Satana 

turbasse l'equilibrio. 
Concentra nelle sue mani 

i poteri del Mago 

e senza verga prodigiosa, spada,
aurea moneta e coppa, 

riesce a compiere qualsiasi incantamento. 
Il saggio, evocando il Numero 11, 

sa come attingere energia dalla Donzella 

e come placare la fiera aggressiva 

che agita lo spirito degli egoisti.
Alla forza cieca e brutale
della masnada, prezzolata
con promesse di fortune mondane
e reclutata con la benedizione di Dio,
i Catari oppongono la forza interiore.
Coltivano l’illusione di riuscire
a sconfiggere gl’istinti 
brutali e irragionevoli.
Ci vorrebbe un miracolo
per fermare l’orda sanguinaria
destinata al massacro degli eretici.
L’Artefice dei Trionfi
ha già lasciato le fragili mura
per salvare la sua ricerca sui Numeri
e quelle icone, rese magiche 
da simboli alchemici.
Preparata al martirio, la risoluta Donzella
sorregge il vessillo
ricamato con le quattro lettere sacre del divenire 
ed esce dalle mura, a fronte alta,
per fermare invano gl’invasati assalitori.
Appesa a testa in giù, sotto quattro lance 
incrociate e conficcate al suolo 
a formare una piramide,
stoicamente attende il suo sacrificio.
Anche i probiviri,
inviati per una resa onorevole,
vengono brutalmente uccisi.
Non si rendono onori
neppure ai prigionieri;
tutti conoscono il filo delle spade
e il sangue scorre copioso.
Sono più di ventimila le vittime 
destinate a placare la collera divina,
scatenata, secondo dicerie infondate,
dalle opere blasfeme 
e dai portamenti scandalosi degli Albigesi.
Ho visto il Pontefice di Roma
temere per i forzieri, le terre
e il primato messo in discussione 
dalle parole del Vangelo;
ho ascoltato i mormorii dei nobili
che non volevano perdere i privilegi 
e i benefici per i figli 
destinati alla carriera ecclesiastica.
Sia lode alla Forza incarnata nella Donzella:
essa ha mostrato col suo sacrificio
la malafede dei nostri nemici
e ci ha spalancato le porte del Paradiso.
 
 



Arcano Numero 12
L’Appeso 
 
Episodicamente, una meteora,  
quasi un benevolo e celeste
segno del destino,
illumina la sonnolenza indotta dalla notte, 

e spalanca la coscienza offuscata 
delle creature sperdute 
negli oscuri meandri onirici.
La materna terra accoglie 

nelle sue calde viscere 

il girovagare 

del monolito caduto dal cielo. 
La zolla ferita
esala tiepidi vapori di zolfo 

che alimentano alberi secchi, 

ossuti e senza fronde. 
Alle plaghe spettrali,
dove sono piovuti i segni astrali,
vanno peregrinando 

tutti i veggenti:  

come foglie d’autunno,
appesi, con la testa in giù, 

per capovolgere
la stupidità indifferente. 
Così espiando,
messa alla gogna, 
s’immola la diversità: 

vittima della macchina dell’Inquisizione 

e protesa verso l’alba 
della rigenerazione collettiva.
Inginocchiati per vegliare 
sul tormento patito dalla Donzella,    

ci siamo rasserenati e purificati

inseguendo la voce del silenzio cosmico. 
Grazie ad una limpida operazione
suggerita dalla Cabala,
l’iniziato riesce a capovolgere il Numero 12, 

per attingere il 21: 

tangibile segno dell’auspicata nuova era,
quando ogni dualismo si ricomporrà
nel trionfo della ragione
e non sventoleranno vessilli 
d’imbelli sovrani.
Allora saremo finalmente liberi,
senza reggitori e soldati,
non più benedetti da sacerdoti intolleranti
e strenui difensori della santa fede
che divide genti atterrite.
Quantunque stremata dal supplizio,
la martire ostinata flette la gamba
per formare una croce ideale 
atta a marcare il suo sacrificio.
La città di Bèziers osserva e accompagna 
il trapasso patito dalla pulzella,
diffondendo nell’aere notturna 
il conforto della litania.
Troppe volte abbiamo ascoltato
vane voci illusorie.
Traditi dalle emozioni incontrollate
abbiamo percorso sentieri bui
nella speranza d’incontrare la luce.
Sappiamo che i demoni
hanno voluto confondere 
ed oscurare per sempre i segni.
Smarriti ogni sera ci addentriamo
nelle plaghe inesplorate
delle sperdute origini,
grazie ai sogni misericordiosi,
concessi alla mente
purificata dal quotidiano sudore.
Per attingere conforto,
a quelle immacolate riviere 
ritorneremo faticosamente,
l’ultimo giorno,
temprati nel sacrificio.
Solamente la nostra eletta compagna,
ha trovato il coraggio della testimonianza.
Mentre noi pavidi aspettavamo,
difesi da mura merlate
destinate a crollare, 
come ogni effimera costruzione
della presunzione terrena.
Se, tutti insieme,
avessimo attinto il sacro furore 
della Donzella e fossimo usciti compatti 
dalla città dei Catari, 
avremmo sbaragliato non solo 
i nostri nemici, ma messo in fuga la Morte
sorpresa dall’audace sortita.
Con la sua forza interiore, la nostra eroina,
percorrendo i tortuosi labirinti
dell’albero della vita,
ha saputo rinverdire
la vaga, blanda animula
che ci portiamo appresso, 
fiacchi e smarriti
in questo arido deserto.
Lei ci ha indicato il cammino,
e il nostro fragile spirito
saprà ritrovare l’armonia originaria 
dei lidi di luce.




Arcano Numero 13
La Morte 
 
Prostrato dinanzi al trionfo della Morte, 

ogni umano rivolge lo sguardo
al cielo misericordioso

e aspetta un ausilio dal divino ineffabile,
la cui voce sanno ascoltare solo gli eletti.
Noi semplici fanti, poveri e smunti,
siamo stati chiamati a obbedire e pregare
infreddoliti nei nostri fagotti,
nelle fangose fosse, scavate attorno 
ai bastioni di conclamati nemici;
in una guerra non nostra, 
apparecchiata da stirpi di regnanti
mai visti in faccia.
Se, intimoriti, volgiamo le spalle,
ci chiamano codardi e ci passano 
a filo di spada per tradimento.
Non certo per brama di ricchezza,
ma solamente per atavica fiacchezza
e sofferta indigenza,
arruolati a forza tra i crociati,
noi, questa sera,
condividiamo i fardelli di sconosciuti,
divenuti nemici per circostanze fortuite
e complotti orditi da magnati,
allevati nel lusso e nutriti di vizi capitali.
Dicono degli Albigesi 
che molto hanno peccato,
offerto pubblico scandalo
e bestemmiato in ginocchio
adorando il Maligno
e venduto le loro anime preziose.
I nostri condottieri e principi
non sono da meno;
nessuno osa accusarli pubblicamente
e trovano chiese e preti
disposti ad assolvere 
ogni violazione delle leggi mosaiche.
Coi bottini rubati ad altri
fanno pubbliche donazioni
ed edificano sontuose cattedrali
a gloria dei fedeli in comunione.
Dalle trame, ordite contro gli eretici peccatori, 
é scaturita una santa crociata,
dove sfilano i buoni benedetti da Dio.
In cuor nostro conosciamo le nostre menzogne
e sappiamo che a calpestare queste contrade
dev’essere rimasto qualche giusto
sconosciuto e mite, 
degno di ricevere la salvazione
e l’attenzione divina.
Una sola certezza: 
una moltitudine ingannata 
da falsi profeti e sacerdoti proni 
su libri, dichiarati sacri
da scribi e zelanti farisei, 
sospinti dal furore del delirio mistico.
Soldati e sudditi, sventurate pedine
sotto le insegne insanguinate 
di una guerra civile
conclamata come voluta da Dio, 
affratellati nel quotidiano dolore,
condividiamo un comune destino
scritto da poderosi signori
che non possiamo tradire
per mancanza di coraggio,
pensando alle nostre spose e figli
esposti alle ritorsioni e all’eterna vendetta.
Per un disegno oscuro, 
ordito da un demone malvagio,
la vita scorre nell’insignificante 

e s’assottiglia il tempo 
segnato dalla clessidra inflessibile
che scandisce gli ultimi istanti 

senz’annunciare i rintocchi finali.
Sotto l’incombente

presenza dell’invisibile Thanatos,

venuta per strappare 

il più caro tra gli umani affetti 

e riportarlo nell’abisso del nulla,
a malapena, riusciamo a intravedere

una falce insanguinata e arrugginita, 

silenziosa e nascosta da una fitta nebbia, 

tra vapori di zolfo 

esalati da una terra calda, 

nell’umidità della notte opprimente. 
Di fronte all’ineluttabile, 

ci coglie il rammarico d’avere perso 

i momenti e le occasioni più belle, 
ma rimandiamo tutti, 

quasi per debolezza e paura.
Un universo inspiegabile ci sovrasta 

e ci disperdiamo così 

nelle frasi fatte di sempre: 

veri luoghi rassicuranti.
Consapevoli d’esistere sospesi 
tra lo sfuggire e il rincorrere,
quando la Morte ci raggiungerà
ne resteremo folgorati, 

e rimpiangeremo lo stato dei sempiterni numi.
Siamo come nuvole effimere
di un temporale che muore.

E la nostra animula,
vagamente protesa a inseguire
le distorte voci del funerale,
smarrita vagherà nell’arido deserto.
Non resta che blandire
i prodigi occulti 

delle metamorfosi alchemiche,
tese a distillare il sottile
dal fardello del denso, 

per mimetizzarci 

alla terribile falce

e, poco a poco, costruire la vita eterna.
 



Arcano Numero 14
L’Alchimista
 
Frotte ansiose ambiscono alla ricchezza,
lottano per il potere, 
 
ostentano lusso e superbia, 
 
ma naufragano nell’abisso del nulla. 
Manipoli sparuti meditano 
sulle trasformazioni materiali e spirituali
rese possibili dall’alchimia. 
Il cabalista in solitudine
osserva e accompagna la discesa 

dei granelli sparsi 

sul fondo della clessidra, 

poi ne risale trasfigurato, 

perché ha saputo attingere 
dall’arido suolo 

la sapienza dell’arcobaleno.
L’alchimista illuminato fonde insieme 

la natura prodigiosa 
celata nella quintessenza 

con i quattro elementi 
fondamentali della vita 

condensati entro un alambicco. 
Distillato a fatica 

nel grande mortaio 

l’oro dell’alchimista 

restituisce alla materia
il soffio dell’etereo 

e rende possibile la più sublime 

delle metamorfosi: 

il ritorno alla perduta unità originaria. 
E’ questo il messaggio del Trionfo: 

ripristinare l’equilibrio, infranto 

quando gli Dei abbandonarono 

il paradiso terrestre 

e lasciarono a Satana
corpi avviliti dalla vecchiaia.
O fratelli, 

non lasciamoci soffocare 
dai granelli di sabbia, 

ma risaliamo con forza 

alle riviere di luce.
Rifioriremo rigenerati:
risorti a nuova vita.
Con sobrietà e con pazienza
l’alchimista provetto 
tempera gl’ingredienti
nelle dovute proporzioni.
Nulla si crea e nulla si distrugge,
tutto si trasforma.
Questa la formula che descrive
la genesi e il divenire.
L’icona Numero 14
rappresenta la sintesi
di tutte le possibili trasformazioni.
Sia benedetta per l’eternità.
Siano dannati quei fanatici Inquisitori
che hanno manipolato
persino il nome originario del Trionfo
adattandolo alla loro fede,
chiamando in causa la virtù 
cardinale della Temperanza.
Così hanno messo le candide 
ali degli Angeli,
alle effigi magiche
degli eretici perseguitati.
Hanno bruciato le città dei Catari,
assassinato i figli,
violentato le donne
e sulle icone hanno seminato 
un credo intollerante e menzognero. 
 



Arcano Numero 15
Il Diavolo 
 
Alle volte siamo spettatori 
d’eventi prodigiosi 
generati da un genio diabolico.
Accade d’intravedere una forma 
d’albero, delinearsi e prendere vita 

nello specchio d’acqua tremula 
creato da una pozza lacustre. 
Accade di librarsi, come nuvola 

mossa dalla voce del vento, 

prima che sopraggiunga il temporale.
Accade d’ascoltare parole 
dalla bocca scolpita in un’antica statua, 
rinvenuta sulla riva dopo un naufragio
e lasciata da naviganti misteriosi. 
Accade di scavare con le mani tra la sabbia 

e scoprirvi un millenario 
fossile di pesce 
impresso nella pietra. 
Accade di respirare 

il profumo forte sprigionato dalla terra 

bagnata per la pioggia caduta 

e percepire la presenza 

di tutte le creature che l’hanno calpestata
e poi sono oltrepassate 

in un sol istante. 
Accade di giungere 

in un luogo sconosciuto 

e avere l’istantanea certezza 
che il proprio passaggio 

sia già stato lasciato su un segno 

visibile in una corteccia d’albero. 
Accade di ripercorrere, 

in una notte senza sonno, 
il tempo che scandisce 

tutta la vita 

e di cullarsi nei ritrovati dolci ricordi. 
Accade di scorrere via, insieme 

agli umori acri, travasati 
nel tumulto della passione d’amore 

e tornare poi nel ventre 
da cui siamo venuti alla luce.
Accade di scorgere in lontananza 

l’indistinta presenza del demone, 

determinato a influenzare 
i nostri quotidiani proponimenti.
Il Maligno, raffigurato 
come mostro di pietra, 

alimenta e prende vigore 
dalla lussuria degli umani, 

sottomessi alle naturali passioni, 

proibite dall’inconscio 

per alimentare coi tabù 

il fascino del peccato. 
Accade d’avvertire nella propria fibra 

il tocco lieve, trasmesso da una mano 
invisibile, manipolatrice della mente 

per asservirla ad un’estranea volontà. 
Accade d’intuire l’assenza di libertà 

negli atti quotidiani 
che siamo costretti a compiere.
Accade d’andare incontro con fierezza 

alla Ruota cavalcata dalla Fortuna 

e cercare un improbabile mutamento 

per le oscure sorti, 

carpite in un attimo fatale. 
Talora, armoniche vibrazioni,
palesano la natura del 15
che docile si lascia ridurre a un 10 + 5.
Accade d’essere avvolti 
dalla fragranza d’un odor perfetto, 
sprigionato dai Numeri, 
e fugacemente
sentirsi più vicini agli Dei, 

come una particola nel tutto, 

in virtù dell’energia 
condensata nella Cabala: 
l’unica capace di liberarci 

dall’eterna schiavitù del Maligno.
Satanasso,
nascosto nei meandri della psiche
come vigile inconscio collettivo, 
ci scruta e ci osserva
e fa sentire la voce infernale
camuffata come quella degli Angeli,
che non sono venuti mai
alla nostra semplice casa
a condividere miseria e paura
e non conoscono il pane nero
del nostro scontento quotidiano.
Accade talora
di non riuscire a sfuggire
alle ombre oniriche
che ci tolgono il fiato,
trascinati via in un gorgo
d’infiniti ricorrenti accadimenti.

 



Arcano Numero 16
La Torre
 
La paziente tempra 
dell’alchimista sapiente 
riscalda l’acqua, ravviva il fuoco, 
rinnova le dosi, ripete l’esperimento,
per nulla scalfito dagl’insuccessi
maturati nella sua lunga ricerca.
Sulla torre abbandonata, 
finora servita ai soldati
per scrutare la terra
e rintuzzare i nemici,
riesce finalmente a captare 
i lampi del cielo,
catturati da un rustico 
e solido marchingegno 
concepito da un fabbro provetto.
“Nel segno della Cabala
la Grande Opera si è compiuta:
alle ore 22, secondo giorno,
secondo mese, Anno 1202.”
Così registra lo storico evento,
l’illuminato alchimista:
“Una notte senza luna, 
tempestata di saette,
a tratti rischiaranti il cielo.
L’aria umida. 
Non è caduta al suolo
una sola goccia di pioggia.
Solite le proporzioni:
due di quattro metalli
per ogni elemento fondamentale.
Lascio e affido queste note
al mortaio vivificato
dall’oro alchemico.”
Antico e austero segno dell’autorità, 

isolata, inaccessibile al volgo, 

custode d’ambiziosi progetti, 

la Torre, raffigurata nei Trionfi, 
porta incise le auree 
formule degli alchimisti. 
I simboli scalfiti
sulla pietra grezza 
le hanno quasi trasmesso
una vitalità propria e sorprendente:
respira e fa ascoltare 

la sua voce solo agli eletti 

che riescono a mettervi piede. 
8 + 8 = 16
Costruita assommando 

il perfetto equilibrio del Numero 8 

la Torre non può vacillare,
tuttavia l’Inquisitore, celebrando il Sant’uffizio, 
può aspergerla d’acqua benedetta, 

sottrarla alla sua funzione originaria, 

mutilarne l’effigie, 

divulgare tutta la potenza 

del fulmine scagliato da Dio, 

intimorire le creature più pavide 

mostrando la possanza del poderoso 

sulle forze incontrollate della natura.
Insieme con altri maghi, siamo saliti 

fin sulla Torre, edificata dagli alchimisti, 

per distillare con la luce, 

sprigionata dal fuoco del cielo, 

la pietra aurea della sapienza.
O fragili, effimere torri
della città dei Catari,
anche voi siete cadute,
sommerse dalla mano vendicativa
del Pontefice usurpatore.
Episodi violenti e sanguinosi,
caduti nell’oblio della memoria collettiva,
potrebbero riempire 
intere pagine di storia.
Neppure lo scempio scellerato
dei Catari e gli orrori 
provocati da questa santa crociata,
saranno stigmatizzati dagli annali, 
nei modi giusti.
I più fiacchi, durante la pubblica abiura, 
sempre chiederanno perdono ai carnefici,
scambiati per Angeli inviati da Dio.
Grideranno pietà per l’anima dannata
e imploreranno l’assoluzione 
anche per i figli innocenti.
Il pentimento pubblico
deve trasformarsi in spettacolo,
indimenticabile per i viandanti
attratti dal gridare inquieto
di rei confessi, asserviti
per ritagliarsi in eterno 
un angolo di paradiso.
Noi Catari, invece, fermi e tenaci, 
abbiamo atteso, testimoniando, 
confinati nelle mura turrite
e travolte dalla piena del fanatismo crociato.
E l’icona Numero 16
adulterata astutamente dagli Inquisitori,
registrerà per sempre il sacrificio
e il coraggio con cui abbiamo affrontato 
il supplizio inferto
e comminato da un tribunale iniquo
che non ha avuto nessuna pietà
e non ha saputo ascoltare 
la voce esalante dalla purezza, 
per nulla mortificata, del nostro spirito.
 
 



Arcano Numero 17
Le Stelle 
 
Una stella gigante fissa,
coronata da una svastica uncinata e rotante,
alimentava il cosmo primordiale. 
Ruotando attorno al perno dell’universo,
il sistema madre innescava 
altri prodigi stellari:
laboratori molteplici di vita
per ogni creatura possibile e immaginabile.
Gli ancestrali rammentavano 
la genesi del tutto.
Nessuno riusciva a immaginare
cosmogonie differenti,
o altre astruse alchimie;
le origini facevano parte 
della nostra memoria 
e non avremmo potuto smarrire 
la via segnata dalle luci indelebili.
Agli albori dei tempi sapevamo viaggiare 
ai confini dell'universo,
e, vibrando, riuscivamo a esplorare
le creature siderali.
Come meteore
navigavamo nello spazio infinito,
per ritemprarci nei lidi di luce,
in freschi abbracci,
intensi come i turbini del temporale,
quieti come la risacca del mare,
che bagna la vasta spiaggia primigenia
ove passammo tutti.
Accogliendo un’antica credenza popolare
divulgata dagli alchimisti,
sotto lo sguardo materno
profuso dalle facelle guida,
la comunità itinerante dei Catari,
protetta dal firmamento,
affida il proprio destino
alle Stelle.
Inseguiti dall’eterna crociata,
fiaccati nelle speranze, sopite
dai segni dell’imminente fine dei tempi,
travagliati a tratti anche da lotte intestine,
dopo tanto girovagare,
i figli degli Albigesi si rigenerano 
nel gigante cosmico
che li soverchia e sommerge.
Inginocchiato dinanzi alla nebula celeste, 
tuttavia anche il cataro in preghiera si smarrisce 
e ascolta appena i sussurri
soavi delle Stelle
ora silenti.
Folgorati dall’alba della genesi,
in un frammento strappato 
al censore onirico, 
tutti noi intravediamo solo ombre ingannevoli,
disegnate delle luminarie
che strappano applausi
e fanno gridare di stupore
gli spettatori del firmamento di cartapesta
assiepati in un planetario 
allestito per l’occasione.
Gli astri non sembrano disseminati a caso,
ma creano tante corolle di luce,
somiglianti a segni da interpretare.
Il futuro e le fortune parrebbero
appartenere al cielo
che apparecchia le carte.
Sovente i poeti vati si sono sforzati
di dare voce al silenzio cosmico
e talora nei sogni sfuggenti riescono 
a intravedere tra le pieghe della memoria
un senso che sfuma rapido nell’indistinto,
come se l’Inquisitore fosse anche
il signore della nostra coscienza.
Ho sognato 17 Stelle
e nella lingua di Taro
mi hanno educato,
strappato alle false credenze
e mostrato il cammino
della redenzione 
ove non perdermi.
Ed io, Artefice, travasando
sapienza in queste magiche icone,
confido nella promessa 
rinsaldata dalla nostra alleanza,
perché la verità oscurata delle origini
possa di nuovo brillare nel firmamento.
Tutti, indistintamente, 
da quelle riviere di luce, 
un tempo, siamo partiti
e poi abbiamo smarrito
l’armonia originaria
per colpa del più presuntuoso
tra tutti gli dei, 
che voleva farsi adorare 
quale unico Dio 
e dominare l’universo 
come un despota assoluto.
 



Arcano Numero 18
La Luna
 
Oscurate le Stelle,
il plenilunio empie lo spazio 
nella notte tersa
e l’andirivieni frenetico delle pavide genti
si fa sorpreso e nervoso 
nel tentativo di sottrarsi 
all’abbraccio luminescente 
del sovrastante globo
quasi divertito a rivelare la scena.
Secondo credenze popolari
la Luna indurrebbe il sopore, 
alimenterebbe sogni e visioni,
stravolgerebbe il tempo.
Rubati i pensamenti agli umani

riuscirebbe a intravedere 
nei misteriosi risvolti della psiche
ogni maligna presenza.
Lo sfuggente inconscio,
accovacciato e ritorto,
così smascherato, si ritrarrebbe 

scatenando a tratti onde d’ansia:
per nascondersi accanto ai segni occulti,
incisi sopra le pietre levigate
delle torri edificate dagli alchimisti;  
o confondersi tra le insidie nascoste  

affioranti da livide acque palustri,  
ospiti di nemici invisibili; 
per dare voce al lupo ululante 

del bosco vicino 

e oscurare il chiarore dell’astro 

che scruta dentro. 
Avvolti dal pallore lunare, 

i corpi diventano eterei, 

paiono senza peso; 

in un paesaggio senza spessore 

anche il tempo fluisce stanco 

con la stessa andatura 
della stravagante donzella siderale

la cui luce argentea, privata 

dal calore e dal colore del fuoco, 

sembra immersa nell’acqua e nell’aria. 
Tutto volteggia 

in un’atmosfera onirica e irreale, 

permeata di particelle sonnolente e glaciali. 

Le creature sottostanti 

sembrano come ipnotizzate 

da quella lattea enigmatica 

rotondità variabile, 

dai tratti ironici e sorridenti. 
18 bulbi opalescenti, 

corpuscoli figli della Luna, 

galleggiano come morbido vetro 

soffiato nell’aria 

e fortificano l'incantamento.
A momenti assumono 
i contorni della pietra filosofale
e il loro miraggio ci fortifica; 

a tratti si trasformano in pioggia finissima
che rende ancora più cupa
l’incombente melanconia;

ora paiono i semi dispersi della vita 

pronti a fecondare il suolo
e ridare slancio
alla sopraggiunta pavida ignavia.
La zolla riceve dubbiosa 
l’omaggio caduto dal cielo, 

parto della Luna, 

che marca le dolorose vicende umane. 

Storditi e ammaliati 

dal soporifero flusso astrale,
gli animali non trovano
la forza per sottrarsi
al soffocante abbraccio;
privati della memoria non sono più niente.
Nonostante queste credenze 
spaventevoli e maledette,
generate da dicerie senza fondamento, 
non comprovate nei fatti e dall’osservazione,
ti esorto, fratello, a non temere la Luna:  

essa protegge la fuga dei Catari 

dagli instancabili persecutori.
Impara a raccogliere gl’invisibili
flussi siderei,
lasciati trascinare nei meandri onirici
evocati nella pienezza
dell’argentea sfera
che muove le maree,
regola la crescita 
secondo natura per le sementi
e stimola lo sviluppo della nostra psiche.
Nella fresca notte lunare
afferra i frammenti 
della vita disseminata
in una perenne odissea cosmica.
 



 

Arcano Numero 19
Il Sole
 
Pigramente, il sonnolento crepuscolo 
accende nel bigio chiarore celeste
una face luccicante
e la dispone nell’antro delle tenebre.
Sul fare dell’alba 
sorge l’incanto mattinale
e l’emozione del vento di libeccio
attraversa le creature
al risveglio.
Un arcobaleno pennella 

l’orizzonte bagnato dalla pioggia 

coi colori dell’iride.
Un’ultima stella, messaggera 

tra le facelle notturne, 

saluta il risveglio lento del Sole, 

sommerso da un girotondo lieto 

creato da nuvole sparse. 
Il nuovo giorno 

é messaggero di speranza 

per la comunità itinerante 

dei Catari senza terra. 
Perseguitati, ancora ricordano 

l’odioso massacro, 

alimentato dagl’incubi della notte, 

avvolta tra le fiamme 
ardenti dei roghi purificatori.
Nel nome eterno del Sole 
vagheggiano una nuova città,  

eretta con ciclopici massi 

per proteggersi dalle persecuzioni future. 
Sognano un regno di liberi ed eguali 
fratelli, senza bandiere sovrane, 

senza sacerdoti e soldati. 
Un arcobaleno li guida 
verso il nuovo destino, 
alla ricerca della magica lira, 

capace, con l’incantamento 
generato dalle note, 

d’animare le pietre inerti 

benedette dal Sole. 
Innocenti fanciulli e fanciulle  

danzano sopra una corolla, 

disegnata con fiori multicolori 

e raccontano delicate storie 
sulla città dalle ciclopiche mura, 

costruite con la possente forza dell'elio
al canto di un aedo divino ed immortale.
Oggi finalmente
quelle note liete 
ci hanno rinvigorito e ringiovanito,
mentre le rozze pietre senza peso
sussurravano voci soavi.
Ci siamo riconosciuti figli del Sole
e abbiamo intonato grazie al dio visibile
che accompagna le stagioni
e riscalda i nostri cuori.
Siamo stati nutriti e benedetti
con particole di luce.
In segno di devozione
abbiamo baciato l’icona 
Numero 19 dei Tarocchi
e ci siamo inginocchiati in preghiera
a raccogliere un frammento d’energia,
per diradare la mestizia,
frutto di una perversa maledizione
destinata a non avere mai fine.
La nostra esistenza si era fatta
sottile e trasparente come un cristallo.
Da un momento all’altro
poteva cadere in frantumi 
sotto gli sguardi assassini
dei nemici oscurantisti.
Invece era destinata a spuntare dal nulla 
una musica eterea e celestiale
per regalarci attimi
di rara felicità.
Il Sole, ogni giorno, riesce
a compiere in noi 
questo grande miracolo
e a salvare l’esigua comunità
derelitta e perseguitata
dall’eterna crociata 
che si rinnova sempre.
Parola del Trionfo Numero 19.
Sia lode al Sole.  
Ci ha condotti salvi
fino a questo misero 
casolare e rifugio,
edificato con fango e pochi mattoni,
ma possente e ciclopico 
nella coscienza dei puri di spirito.
 
 


Arcano Numero 20
Apocalissi
 
“Il sobrio pennello intriso nei Numeri
descrive l’Apocalissi: 
accostando il allo zero
e riconducendo i dualismi all’abisso originario.
Il 20, scomponibile in un ripetuto volte,
mostra quando la quintessenza
non amalgama più i quattro principi
fondamentali della vita.
Se la Ruota del Divenire, 
raffigurata dal Numero 10,
si affida alla sapiente costruzione dell’Uno
e alle potenzialità infinite dello zero germinativo; 
l’apocalittico 20 capovolge la rotazione
nel verso contrario e lo zero
svolge una funzione esattamente opposta,
riconducendo il tutto alle origini.
Senza Numeri non sarebbe possibile
descrivere il mondo e l’armonia
essenziale al suo dispiegamento.”
Questo il testamento spirituale, 
affidato dall’Artefice 
alla voce dei Trionfi.
Si fanno da sempre previsioni
sulla fine dei tempi
e non sono mancati profeti apocalittici.
Nutrendo profonda e malcelata invidia 
verso chi resta,
ogni epoca sente d’essere l’ultima;
non vuole lasciare ad altri
la fiaccola della vita.
Soli ed erranti nell’universo sereno,
ad interrogarci, senza riuscire mai 
a trovare una risposta,
alla portata dell’homo sapiens sapiens.
“Siamo come nuvole sparse 

in un temporale che muore.” 

Sussurrerà il primo cavaliere. 
“Siamo nati dal tempo 

che si frantuma 

nei granelli di sabbia 

adagiati sul fondo nella clessidra.” 

Sentenzierà il secondo cavaliere.
“Siamo l’ancora poggiata 

sull’abisso del mare, 

quando è notte 

e la luna fa da corolla 

alle tenebre.” 

Griderà il terzo cavaliere. 
Come un vate silenzioso 

seduto ai confini della vita, 

invece non proferirà parola 
il quarto sopraggiunto cavaliere.
All’unisono i messaggeri,
emersi da un buco nero, 

apparso nel cielo d’improvviso, 

come fosse uno squarcio di tela 

sul palcoscenico dell’esistenza,
annunzieranno la fine dei tempi.
Ascolteremo voci apocalittiche
e un brivido ci percorrerà 
la schiena, 
come folgorati 
dalla rivelazione.
La Terra corrugherà e confonderà 

valli e montagne, con un boato profondo 
scaturito delle viscere più profonde.
I malfattori cercheranno 
di sfuggire al loro castigo 

e non troveranno luogo per nascondersi; 

i vivi invidieranno le sorti dei morti, 

perché intravedranno nitidamente 

il peccato originario 

messo a nudo nella propria coscienza.
Dal cielo cadranno folgori nerastre

e le nazioni assisteranno attonite  
all’immane deflagrazione,

mentre il clamore dei dannati, 

unito alla dissoluzione, 

atterrirà le moltitudini indifese 

prostrate sulla nuda zolla. 
L’oscurità avvolgerà 
il Sole e la Luna
e l’intero sistema planetario collasserà, 

e svanirà alla vista delle genti smarrite
e inghiottite dal caos originario.
L’Apocalissi dei elementi fondamentali,
liberi dall’abbraccio forte della quintessenza,
non attingerà il mondo siderale
con una storia e un cammino 
differente dal nostro. 
Qualcuno tuonerà che dobbiamo scontare 
l’antico peccato commesso dall’uomo 
insediatosi al vertice del creato,
con maligna presunzione.
Banditi dall’armonia primordiale paradisiaca  
e confinati nel limbo dell’ignoranza,
isolati nei nostri interrogativi senza risposta.
Forse non si tratta neppure
della paventata punizione, 
fatale destino dei peccatori.
Tuonare la fine dei tempi, dai pulpiti,
fa rabbrividire la creatura mortale
e indifesa nella soverchiante oscurità.
Apocalissi: rivelazione:
la genesi già prevedeva 
un suo ciclo, rotondo e perfetto: 
l’emanazione, l’organizzazione
e l’assimilazione verso il punto zero,
dove il Sole fatalmente
ci sta riportando.
La materia bruta,  

vibrando intensamente,
paleserà dignità e forza;

si trasformerà, liberandosi 
dalla schiavitù del Maligno. 
E dall’immane rimescolamento 
scaturirà l’aureo cocchio trionfante
inviato dai numi, pronti ad accogliere 

e a portare a salvazione 
i redenti figli 
dei Catari trasfigurati.
 
 
 


 

Arcano Numero 21
Palingenesi
 
Veleggiando lieve, 
per non sprofondare nel turbinio dei marosi;
sconquassato legno nella tempesta,
alla deriva dopo un naufragio;
il cataro, giusto e pietoso,
andrà a inginocchiarsi sulla nuda terra
per prostrarsi al baleno dell’apocalissi
che squarcerà la tenebra.
Qui risalirà le ridenti pendici
verso un materno arcobaleno,
spuntato d’un tratto
alle soglie della novella dimensione,
ove, rinato,
reciterà l’antica preghiera.
“Come un pellegrino 
in attesa del sole, 

disteso come neve 

su prato verde, 

aspettando il crepuscolo,
dall’alba intriso di pallida luce

e rinfrancato dai colori dell’iride,  

vengo sospinto 

agli albori del tempo, 

per riposare come un bambino in una culla. 
Sulla spiaggia della resurrezione
prendono corpo le effigi degli antichi saggi
e si ergono solenni
come statue avorio

di marmo pario:
la materia inerte 
tornata a vibrare 
di nuova energia.
Tra i cristalli pensanti di silicio 

mi lascio confondere 
e rimescolare al mare 
e al vento soffiante 

su vele dirette verso lidi lontani. 
La mente, limpida
e senza barriere, 

riesce ad ospitare un dio paterno, 

in grado d’educarmi 
al libero volo degli alati.
Una soave brezza
inonda di frescura il viso

e, bagnato da natura amica, 

mi lascio cullare 

dalla spuma primordiale 

che ci ha visto nascere. 
Poi farfalle leggiadre
danzano e favellano 
ed io rincorro i pensieri condivisi 

in uno spensierato gioco 
di corrispondenze.
Voci, frammiste a sprazzi luminescenti, 

si condensano e poi svaniscono, 

ora evanescenti, ora piene: 

ciclo infinito 

che come torrente attraversa

la ricomposta fibra della vita.
Attorno, uno sciame di nuvole 

spose di futura pioggia.
All’orizzonte spunta la palingenesi,

annunciata da una scia 

d’azzurre siderali 

creature cosmiche, 

discese come meteore 

sulla marina, infranta

dall’ondeggiare fragoroso 
che si trasforma 

in un’opalina mano 

pronta ad afferrarmi 
e confondermi nella risacca,
sempre più soave,
placidamente lenta,
quasi affettuosa.   
Librato, attraverso il fluire
dell’onda corpuscolare,

mi sottraggo infine agli echi lontani 

dell’oscurità diradata 

e inseguo il chiarore

della ricomparsa luna, 

spuntata tra il pulviscolo ridente di stelle 

a pennellare il rigenerato firmamento.
Ogni sera 

si può morire 
per assenza di luce. 
Ma oggi ho rischiarato 

queste tenebre, 

coi ricordi soavi 

che avvolgono la mia coscienza, 

protesa verso l'alba 
del nuovo mondo ”.
 
 



L’eresia dei Catari: i puri di spirito.
 
Traspare dai Trionfi  

la religiosità provenzale sparsa

tra le città di Lyon, Albì e Bèziers. 
Il temuto credo dei Catari 

non fu totalmente estirpato 

nel corso della famigerata crociata  

bandita da Papa Innocenzo III 
contro gli Albigesi.
L’eresia può sempre rinascere
dalle ceneri dell’originario nucleo 

del pensiero manicheo, 

quando ci si dispone 

a fare luce sull’identità del Maligno.
Basta prendere in mano 

un mazzo di Tarocchi 

e ricostruire, nello spirito 

dell’antica Cabala, 

la loro genesi storica 

fino ad oggi abbastanza oscura.
Gli Arcani Maggiori, 

venuti alla luce in Béziers, 

prima della sua distruzione, 

negli anni a seguire furono unti 

dal carisma della fede in un unico Dio 

ad opera dei revisori dell’Inquisizione. 
Noi vogliamo riportare alla luce 

il primitivo nucleo del pensiero 

dei Catari: i puri di spirito

in lotta contro il predominio politico
e spirituale della Chiesa di Roma; 

allevati nella povertà, 

votati alla comunione dei beni
e auspici della fine del sacerdozio. 
Fino alla fine dei tempi, 

la cerchia sovrana degli scriventi  

s’imporrà al popolo dei parlanti,
spacciando menzogne per verità.
Tuttavia chi ascolta le voci dei Tarocchi 

può uscire dal perverso meccanismo 

instaurato dall’inconscio 

e approdare alla libertà originaria. 
La Cabala insegna che il Numero 20
provocherà profondi mutamenti, 

quando scoccherà 

l’ora della metamorfosi spirituale 

e inizierà la fine dei tempi 

fanatici e superstiziosi.
Uno è l’egoismo, l’autoritarismo,
l’assolutismo dei sovrani.
Unica e infinita la solitudine 
del Numero 1, eguale a se stesso.
L’equivalenza 1=1
illustra il principio fondamentale della Cabala 
secondo cui il Mondo 

è un prodotto della varietà delle Essenze. 
Il tutto non è creato, 

bensì, generato per trasformazione, 

obbedisce a un progetto comune 

di molteplici Dei. 
Proclamatosi unico Dio, 

un principio negativo 

si pone al vertice delle forme viventi 

con l’intento di primeggiare.
Il disegno del Maligno, 
fin dai primordi proteso 
al disfacimento del progetto originario, 
brutalizzò la materia,
corrompendone l’essenza, 
svilita dalla senescenza
indotta dall’abbandono dello stato di natura.
L’entità malefica si mimetizza

e agisce nell’uomo 

attraverso l’inconscio originario collettivo, 

che elabora le più svariate 

forme di controllo della coscienza:
dall’autorità indiscussa del monarca 

alla vigile presenza dell’Angelo custode, 

dalla parola sacra del sacerdote 

all’inviolabilità dei sacri testi. 
Proprio l’inconscio originario collettivo
ha generato i grandi misteri, 

per mezzo d’artifici diabolici 

che nascondono le verità 

e cancellano il ricordo primordiale.
Solo meditando 

sulla natura del male, 

decifreremo gli enigmi della vita, 

creati ad arte, nel corso dei tempi, 

per proteggere l’identità del Maligno 

nascosto dietro l’ingannevole velo 

dei più mansueti. 
Anche il libro, 

prodotto dai sapienti, 

diventa, paradossalmente, 

una forma di controllo 

delle coscienze più deboli, 

per impedire la libera circolazione delle idee 

e imporre un modello perverso, 

a cui uniformarsi e sottostare.
Queste memorie di storia, 

viste attraverso la lente della Cabala, 

affidiamo e tramandiamo 

ai nostri fratelli perseguitati,
che lottano ancora, 

sempre e ovunque, 

nel nome del libero pensiero. 
  
©  Tutte le foto e i disegni sono opera dell’autore.
 
Biografia e opere
Alessandro Scalzaferri, nato a Roma, 
laureato in Filosofia, poeta, studioso dei Tarocchi. 
Scrittore artigiano indipendente. 
Autore di un ciclo di opere ispirate alle carte della divinazione:
 
-      Genesi dei Trionfi, poemetto
-      Una combriccola di Arcani lestofanti ha messo a soqquadro il dolce paese, novella
-      Discorso sopra la natura e l’origine dei Tarocchi 
alla luce della filosofia dei numeri, trattato
-      L’Uomo dei Tarocchi - ANNO DOMINI MCCXXI TARO FECIT, romanzo
-      Le voci dei Tarocchi, romanzo teatrale
-      Interviste ai Tarocchi,  racconto

 

Email di contatto: ledoslerris@gmail.com

 

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