Genesi dei Trionfi - poemetto di Alessandro Scalzaferri
Alessandro Scalzaferri
Genesi dei Trionfi
poemetto
Presentazione
Nell’Anno del Signore 1200, un anziano chierico vagante, giudicato eretico e dunque perseguitato, trovava asilo nella città di Béziers, distintasi per la sua tolleranza nei confronti delle credenze professate dalla comunità dei Catari. Qui, al riparo dal fanatismo dilagante, iniziava una laboriosa e paziente investigazione nel mondo dell’occulto da cui si sentiva affascinato. Il vecchio saggio confidava di potere travasare tutte le sue conoscenze in un sistema di ventidue figure simboliche che descrivevano il Mondo nelle sue sfaccettature e corrispondenze segrete.
Dopo otto anni sigillava in un manoscritto la chiave per interpretare l’impianto iconografico dei 22 Arcani, inseriti in un mazzo di carte da gioco: una novità proveniente dal mondo arabo, un originale intrattenimento ludico che i navigatori della repubblica marinara di Pisa avevano da qualche anno introdotto in Italia.
L’anonimo Artefice dei Trionfi attribuì al nuovo mazzo di 78 carte da gioco il nome latineggiante di Taroculi, (volgarizzati poi in Tarocchi) ovvero gli occhi del dio Taro: l’entità occulta che aveva ispirato le icone e reso possibile quel progetto.
Naturalmente la Chiesa di Roma non rimase indifferente al propagarsi dell’eresia dei Catari e nel 1208 il Papa Innocenzo III proclamò una santa crociata proprio contro gli Albigesi, ossia coloro che abitavano nella città di Albì, nella regione della Linguadoca, popolata da una nutrita schiera di eretici che mettevano in discussione l’autorità del
Pontefice romano, la sua infallibilità e soprattutto criticavano il lusso degli ecclesiastici, dediti più ai piaceri mondani che alla preghiera.
La guerra santa, che portò alla distruzione della città di Bèziers e alla morte di tutti gli abitanti, senza distinzioni d’età e di sesso, servì per dimostrare il potere della Chiesa di Roma contro gli eretici e per offrire una prova di forza che costituisse un monito rivolto a tutti i riformisti futuri.
Il poemetto ripercorre l’antefatto storico che fece maturare la gestazione e la nascita dei ventidue Trionfi: gli Arcani Maggiori dei Tarocchi; inoltre ne illustra la natura: dal Mago alla Papessa, passando per il Folle e l’Innamorato, percorrendo i sentieri dell’Eremita e la passione degli alchimisti, catturando gli influssi della Luna e delle Stelle, giungendo fino alle soglie della fine dei tempi.
Nel rammentare la persecuzione dei Catari, la Genesi dei Trionfi, opera sotto certi aspetti attuale, stigmatizza ogni forma di fanatismo religioso e auspica, alla luce della ragione, il rispetto dei valori della tolleranza.
Il Mago
Uno stuolo pezzente e benedetto,
guidato da nobiluomini avidi
in cerca di fortune,
avanzava e saccheggiava
le contrade della Linguadoca,
rese più fertili col sangue sparso degli eretici
sbudellati come animali da macello.
Per arginare la santa crociata,
bandita contro le terre dei Catari,
la fragile e spaurita comunità perseguitata
sussurrava voci di speranza vana
e alimentava le pagane superstizioni
ancora diffuse nelle genti.
“Roteando; la vindice spada del Mago
provoca vortici d’aria
capaci d’annientare il nemico.”
“Copioso, dalla coppa sgorga
un’elisir medicamentoso.”
“L’aurea moneta capta l’oro lucente
nascosto negli oscuri meandri della terra.”
“La magica bacchetta,
ricavata dal legno di noce,
fa vibrare l’essenza racchiusa
nei quattro elementi fondamentali della vita,
e levitare i corpi,
leggeri come fiamma d'alchimista.”
Sulla scia delle voci ascoltate,
i ragazzi favoleggiavano
attorno alle virtù straordinarie del Mago,
loquace con gli spiriti boschivi,
capace di colorarsi come scorza,
pronto a fondersi con la zolla
e rimescolarsi alle nubi,
bigie e maculate,
per rinverdire con la pioggia l’arido suolo.
Mimetizzate con fare sornione,
le subdole spie dell’Inquisizione
in silenzio ascoltavano e aizzavano
all’odio contro ogni sparuta schiera
in ginocchio nel ricevere
devota gl’influssi astrali,
attratti dalla bacchetta del Mago:
simbolo vivente di tutte le creature,
generate dal Numero 1.
E, per esorcizzare i malefici roghi,
si celebravano riti per pochi iniziati,
e le idee dei Catari,
imbavagliate e temute,
venivano travasate in tavolette colorate,
assomiglianti a semplici carte da gioco,
per essere trasmesse di padre in figlio
e caricarsi con l’energia
delle smaniose mani, capitate
sulle icone dispensatrici di buona e cattiva sorte.
Fu così che la nascita del mondo,
progetto collettivo di tutti gli Dei,
venne ricondotta alla vitalità portentosa
scaturita dal magico illusionista,
abile ad incantare i villani con gli effetti
prodigiosi della sua prestidigitazione.
Le anime benedette dei crociati, frattanto,
si guadagnavano un cantuccio di paradiso,
dando l’assalto al simbolo più vulnerabile
delle contrade macchiate dal marchio dell’eresia,
nemiche della Chiesa romana
e purificate col ferro e col fuoco
del giudizio di Dio.
Quando la carta del Mago
si era messa a piangere lacrime di sangue,
la città turrita di Bezièrs
stava contando le sue vittime:
ventimila innocenti: inermi donne
e indifesi fanciulli,
perseguitati e puniti,
quali perseveranti protettori
di una minoranza eretica
in nome della libertà religiosa.
Oggi la carta del Mago si limita a sorridere
e produrre giochi d’illusionista
sul suo banchetto sgangherato,
per accattare l’attenzione dei passanti
e qualche facile soldo.
Nei giorni di festa,
il dovere ludico sbarca il lunario
tra divertenti passatempi soporiferi.
E le crociate,
meno appariscenti e più misericordiose,
hanno persino cambiato abito e nome.
La Papessa
Mentre le campane battevano
i rintocchi del vespro,
il vecchio occultista leggeva il destino
riservato alla turrita città di Bezièrs
nel ramificato intreccio della Cabala.
Lasciandosi cullare e rinfrescare
dall’energia sprigionata dai Numeri,
intravedeva l’orda degl’intolleranti
accerchiare le mura merlate,
fragili come lo stelo d’erba, piegato
dal turbine dei crociati.
Le lievi ore, sotterrate dai granelli
di sabbia strappati al deserto,
nella clessidra d’Arabia
sommessamente svanivano.
Trascinato nel vortice
del sapere spasmodico,
l’eretico Artefice dei Trionfi
si bagnava la fronte
con i Numeri del suo trattato
e, come un beduino lontano dall’oasi,
inseguiva il miraggio della vita immortale.
La sabbia finissima scivolava lenta
e impietosamente la dimensione
dei Catari, scomunicati
e colpiti da maledizione,
si consumava nello spazio angusto
racchiuso dalla clessidra:
immoto presidio del fuggir del tempo.
Le faville, prodotte dai roghi purificatori,
a tratti già rilucevano
sull’icona sbiadita della vestale
assisa dinanzi al Tempio.
La Papessa, statuaria e sacrale nella postura,
estranea agli effimeri accadimenti del quotidiano,
troneggiava sull’inaccessibile santuario,
dove erano custoditi gli occulti segni,
trascritti su due impenetrabili libri,
sorretti da mani opaline.
La Sfinge guardiana interrogava
i viandanti filosofi
avventurati fino alle mitiche lande
ospiti di sottile ed oscura sapienza.
La concisa risposta formulata da Edipo
riecheggiava eterna.
“Siamo voci silenti nella notte.
Veniamo dalle sfere di luce.
Risaliamo l’iridescente arcobaleno.”
L’unzione battesimale del secondo Trionfo,
scandiva rarefatte sillabe blasfeme:
Papessa,
custode della conoscenza
a fatica acquisita dai saggi
d’ogni epoca e differente paese.
Secondo l’occultista, invecchiato Artefice
nella laboriosa gestazione dei Trionfi,
per crescere veramente innocenti e sapienti
avremmo dovuto serbare nella memoria
nostra madre accanto, a farci carezze d’amore.
Sfiorata l’ebbrezza di Edipo,
mentre risolve l’enigma proposto dalla Sfinge,
avremmo potuto intendere la natura
ambigua e sfuggente della presenza,
che, velata, aleggia,
vigila e confonde,
fin dai primordi, la nostra mente;
e forse spiegare l’intera storia del mondo,
afflitta da terrore e violenze,
su cui i poeti hanno profuso versi pietosi,
per rendere più degno il faticoso convivere
e sublimare l’egoismo antico
nella catarsi purificatrice.
Assorto a distillare,
nell’alambicco della coscienza,
il caso con la Cabala,
lo scettico Artefice inseguiva
quell’entità spuntata dall’indistinto
e nascosta nei labirinti della memoria.
Forse apparteneva
a un demonio cacciato
dal paradiso delle litanie,
per avere interrotto il quieto andare
e gettato un’ombra
sul divino Fattore ineffabile.
Forse lo spiritello misterioso
camuffava l’inquisitore di turno;
e, per suo volere, la Papessa
mai avrebbe consegnato le chiavi
dell’esistenza al peregrinante Artefice,
giunto per virtù e determinazione,
fino alla porta del Tempio.
Oltre le mura, s’intravedevano i fuochi
dei crociati accampati
e i visi dei nemici lontani
ben più nitidi dell’intruso
insediato accanto al Numero 2.
Gli occhi stanchi si sentivano
colpevoli dell’ignoranza.
Il filosofo incespicava sulle parole
che un oscuro demone apparecchiava
a bella posta per non farsi trovare.
Smarrito lo stato di natura
nessuno riusciva più a condividere le emozioni
e le vibrazioni affievolite
non trovavano le giuste corrispondenze.
Le celesti doti restavano confinate nella poesia
e nel quotidiano chiacchiericcio
si snodava l’esistenza violenta e vuota.
Il resto del vivente in silenzio
mostrava indifferenza
verso il destino dei Catari.
Le verità, talora faticosamente agguantate
dai viandanti del sapere,
si smarrivano nell’oblio
risorgente che tutti confonde.
Si riproponeva sempre
l’interrogativo esistenziale
perpetuato in una scalata infinita.
Il dannato Sisifo, che spinge
il masso verso la vetta della montagna
e nuovamente ripete la medesima fatica,
incarna la metafora perfetta
della condanna che il censore in ascolto
riserva all’umanità, fino al giorno
liberatore dell’Apocalissi.
Non sapere:
per smarrirsi nel labirinto delle ipotesi
e scontare il peccato originario.
L’Imperatrice
A riscattare e proteggere
la comunità perseguitata dei Catari,
una creatura celeste era venuta anzitempo
colui che avrebbe pensato e disegnato
i Trionfi: un sistema iconografico eterno,
costruito sull’incorruttibilità dei Numeri.
Simile a Dea, smagliante d’antico splendore,
era apparsa, già pregna, ansimante,
protesa a risalire le dune,
uscita dall’abbraccio
delle generose acque saline.
Una dovizia di donzelli, appartenenti a una setta
dedita ad antichi culti pagani,
stava bagnandosi in una notte argentea
sotto il segno della luna.
Lei non abitava quelle piane
e non parlava nessuna favella nota.
Dal collo pendeva un aureo monile
di foggia strana:
un triangolo rovesciato e incastonato
di gemme azzurro mare,
sorretto da fili intrecciati
e modulati sui colori dell’iride.
Gli occhi cerulei
nella notte erano fosforescenti,
la pelle era morbida e vellutata
e le labbra davano il piacere dell’ambrosia.
Ad accogliere la futura puerpera
il gruppo aveva disposto un giaciglio triangolare
di sabbia spianata, marcato da tre torce,
affinché tutti la potessero ammirare.
E lei, dopo tre ore, all’alba,
aveva dato alla luce un figlio,
accolto come il prodigio divino
benedetto dal firmamento.
Ispirata da un aedo, la giovane brigata
aveva intonato un dolce canto:
“O Regina del Cielo,
irrorata dall’albume cosmico:
sottile energia discesa dalle Stelle,
filtrata e assorbita dal mare
che la dispensa abbondante;
ci inginocchiamo
di fronte al tuo concepimento miracoloso.
O feconda Madre,
noi, tuoi devoti discepoli,
per le vie del mondo
andremo ad annunciare
l’avvento dell’Imperatrice.
In una notte stellata
ci hai palesato il volto oscuro
del demone nascosto in noi.
Ci siamo purificati
alla luce dei tuoi occhi.
Insieme al figlio delle Stelle,
noi, Catari trasfigurati,
ripristineremo l’originario equilibrio,
spalancheremo le porte del Paradiso,
e racconteremo la tua diletta nudità corporale
immune dall’avvilimento della vecchiaia.
Noi, figli devoti degli Dei,
siamo come foglie mosse dal vento,
e siamo il vento che spira
dai chiostri del tempo.
Noi vati del Nuovo Mondo,
pietosi figli dei Catari,
sparsi per la terra,
alla ricerca di un paese innocente.”
L’Imperatore
Leggiadramente
quattro soavi fanciulle scalze
antistanti il trono dell’Imperatore
e incisi con simboli alchemici.
La prima, scaturita dal Fuoco,
agile e scapigliata,
dalle chiome rosse ed occhi brillanti.
La seconda, figlia della Terra,
muscolosa e forte,
con trecce scure come la lava solidificata
e le iridi ardenti simili a brace.
La terza generata dall’Aria,
diafana, quasi eterea,
dai vaporosi capelli turchini
e lo sguardo impreziosito
da due gemme diamantine.
La quarta uscita dall’Acqua,
bagnata e pallida,
con ciocche verdi e umide
e le iridi perlacee.
All’unisono le giovinette intonano
un riverente saluto, in omaggio
alle prerogative dell’Imperatore.
Tutte spose amate
e rispettate nel medesimo modo,
per nulla gelose, o in competizione,
ma solidali nella devozione
e nell’ossequio del rituale.
“Il dominio incontrastato del sovrano
permea la terra informe,
ancor prima che il soffio spirato dal vento
le desse l’impulso del movimento
e la grazia arrotondata della donzella.
La sua dimora è la montagna
eretta con lava e fuoco
che pare inghiottire anche il mare
e fa tremare le fondamenta del mondo.
La sua mano è nera come il carbone
e possente come un macigno;
l’occhio vede anche attraverso le nebbie
e illumina le tenebre
con il chiarore del fulmine.
Il suo trono è una scultura di marmo pario:
un cubo perfetto
che fonde i quattro elementi primordiali
impressi a lettere d’oro,
come segni d’alchimista
ordinati a comporre un geroglifico.
La sua voce pare essere ovunque
e nessuna barriera riesce a fermarla;
a tratti si mescola al turbine del vento,
o s’innalza come lingua di fuoco,
o scorre a valle come acqua di ruscello,
o penetra nelle viscere della terra
facendola sussultare.
I suoi ordini sono legge
perfino nelle contrade più sperdute
e sulla scorza arborea
c’è una visibile impronta
dell’autorità imperiale.”
L’Arcano Numero 4 fa riecheggiare
la cosmica voce degli Dei artefici
e magiche sillabe s’intersecano
come in un cruciverba.
R O T A
O R A T
T A R O
A T O R
Svetta la grande ROTA:
governo delle sorti
riservate ai mortali indifesi.
In risposta la sommessa preghiera,
cantata dai genuflessi figli dei Catari,
arriva fino alle contrade più sperdute
e l’ORAT, profuso nelle litanie,
rinvigorisce i cuori.
TARO, il demiurgo,
e un’alchemica decantazione avvolge
tutti i misteri del mondo,
filtrati negli Arcani.
Un valoroso ATOR s’immola
in un’impresa titanica per conquistare
uno scranno eterno nell’iperuranio.
L’impari lotta alimenta il mito dell’eroe
e rende imperiture le gesta.
Sia lode all’Artefice
che ci ha illuminati
con le ventidue icone.
Le antiche virtù dei Trionfi
indicheranno come non smarrire la via.
Il quarto Arcano condensa
le energie morali del saggio:
sapere e volere, osare e tacere.
La divinazione non è patrimonio
dei fiacchi e dei superstiziosi;
neppure un’arte da tramandare,
bensì una conquista interiore.
L’iniziato deve rimanere concentrato
e lasciarsi attraversare dai propri fluidi,
rischiando anche di sembrare egoista,
sordo alle voci querule e petulanti
gridate dai parlanti,
che si lasciano abbacinare
dal verbo seducente degli scriventi.
Il saggio coltiva l’arte del silenzio,
per non dissipare invano le proprie energie,
e parla solo quando è indispensabile.
L’illuminato evita di fondare scuole di pensiero
e non si affanna a cercare proseliti,
per non essere frainteso
e interpretato arbitrariamente.
Capta i quattro elementi fondamentali
presenti in lui e riesce a farli scorrere
come un rivo in piena nella coscienza,
costruita giorno per giorno,
senza fretta e con infinita pazienza,
attingendo la sapienza sparsa
nelle magiche icone dei Trionfi.
Arcano Numero 5
Il Pontefice
A frotte i pellegrini, accorsi
dalle contrade più sperdute,
aspettano di ricevere il segno
della mano benedicente
e invocano miracoli e prodigi,
scaturiti dal pastorale cruciforme
che lega i quattro elementi fondamentali della vita
confluiti nel vortice prodotto dalla quintessenza.
Il Sommo Pontefice, ammantato
da aureola d’indiscussa sacralità,
carezza le teste ai pargoli,
freschi e trasudanti linfa vitale,
per imprimere il sigillo della fede.
La fiumana di gente si spalanca
davanti alla sedia gestatoria
e intona litanie accattivanti
che fiaccano la vigile coscienza
sommersa da fumi d’incenso soporifero.
La posa ieratica del Pontefice
affascina la folla;
la sua parola ipnotizza.
L’estasi religiosa trionfa
e contagia tutti.
Levita frattanto l’amore verso l’Empireo
e si alimenta l’odio per l'infedele.
Un rogo brucia libri proibiti
e ampolle d’alchemiche misture.
Una strega blasfema
arde insieme ai peccati
condensati nel suo orgoglio miscredente.
Mescolati nell’alambicco della fede
tutti gl’ingredienti cospirano
per indire una santa crociata
contro gli eretici della Linguadoca.
I Catari, stremati e impauriti,
aspettano, armati con la forza, scaturita
dalla Cabala intrisa nell’alchimia.
L’Artefice mostra nei Trionfi
l’inganno primordiale
alla luce della filosofia dei Numeri
e svela le complicità
tra il Diavolo e il Pontefice,
scomponendo l’essenza del quinto Arcano.
5 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = 15
Gli strumenti cabalistici
descrivono i sinuosi intrecci,
carezzevoli e avvolgenti del Maligno.
O vittima ignara,
svelando le macchinazioni diaboliche,
impara a intendere i Numeri:
essi rivelano verità,
condannate come empietà
e tenute nascoste per millenni.
Il Pontefice, infallibile nel suo primato,
rigetta come eretiche
le idee che possono smascherare
il vero volto del Demonio.
Emersi dal limbo della follia,
i ribelli spalancano l’avvento alle nuove ere,
ma restano appesi ad un albero mutilato,
condannati al silenzio dell’anonimato
e abbandonati in terra sconsacrata.
Il Pontefice profana l’amore,
condannandolo come impuro,
ascolta i peccati
attraverso i confessori,
scava nel fondo della tua coscienza,
perché ha per servo
uno stuolo visibile e invisibile.
Spiriti, evocati col nome di Angeli,
s’impongono alla credulità popolare,
come creature inviate
dal Signore di tutte le genti.
Il quinto Arcano ha saputo captare
i portenti della quintessenza;
i seguaci si sono inginocchiati
e lo hanno ricoperto con onori e ricchezze;
i sacerdoti gli hanno edificato una Chiesa
per ricevere oboli e lasciti in terre;
e, in nome di Dio, sono stati scritti
sacri testi, a baluardo del suo potere.
Vittime dell’eterna persecuzione,
i Catari aspettano,
fino a quando un giorno
vedranno infranto il primato
di Pietro, in ginocchio e prostrato
dinanzi alla fine dei tempi.
Parola dell’Artefice
che seppe dar vita alle magiche icone
dette Trionfi, per aver resistito indomite
all’intolleranza fanatica dei crociati.
La sua opera imperitura
ha saputo rinverdire le speranze
svanite nei perseguitati pellegrini:
eterni naufraghi
alla ricerca di un porto sicuro
e di un paese innocente.
L’Innamorato
L’emozione di scalare le vette
del sublime furore sacro
e la tentazione torbida
d’accarezzare l’amplesso profano
costringono l’Innamorato a macerarsi
nella logorante incertezza
di un estenuante immobilismo.
tormentate attese,
sfinimenti nervosi,
ripensamenti e dubbi,
momenti dolenti in ginocchio.
Capogiri sensuali:
condanne eterne ad accarezzare
il bello, la malizia,
la grazia, la conoscenza.
Sarebbe preferibile attraversare
nella sua immediatezza prorompente
una fugace passione erotica
e restarne anche storditi, o inappagati;
piuttosto che rincorrere
con smania e invano
impossibili baci
e carezze smarrite.
L’Innamorato sembra prediligere
il tortuoso e insidioso cammino
segnato dai sospiri
del desiderio accumulato.
Volutamente si lascia macerare
nelle vaghezze d’amore,
platonicamente sospeso
tra slanci mistici e ricadute carnali;
vittima condannata a vivere
nel regno dell’insoddisfazione
ingannevole e reiterata.
Anche noi, schiavi e irretiti
dalla duplice seduzione,
restiamo immobili a dipanare la matassa,
persi nei labirinti dell’amore,
infranto, diviso.
Ogni più innocente sfioramento corporeo
passa attraverso le grinfie
del satanasso ebbro
e mai sazio di piacere,
che ci lusinga e ci respinge.
Gli umani sembrano condannati
a inseguire innamoramenti misteriosi
ed osceni alambicchi.
La metamorfosi interiore
non viene mai raggiunta
negli orgasmi passeggeri
del quotidiano divenire.
Inquieti, non sappiamo rispondere
agli eterni interrogativi postici dalla Sfinge
e neppure conosciamo tutte le potenzialità
del corpo insoddisfatto, condannati
a rincorrere miti, presi dal vortice
dei girotondi illusori,
generati da indovini e profeti.
L’Innamorato colpito
dai dardi di Cupido,
non riesce a liberarsi dalla malia
che immobilizza lo spirito
e pietrifica la carne.
Rimane stregato
dalle grazie e dalle lusinghe
di due attraenti fanciulle
che, simili a mitiche Sirene,
hanno paralizzato la volontà
e legato il corpo
coi lacci di un canto ammaliatore.
La brama inestinguibile
ti prende dentro
e ti fa ardere di voluttà
come una candela nuda e splendente.
Coi baci cerchiamo di dissetarci
alla fontana dell’Eros
e corriamo dietro all’eterna giovinezza
per ingannare le rughe del tempo.
Il dominio delle passioni dura un attimo
e poi ridiventiamo schiavi
delle carezze d'amore.
Il nostro corpo si appesantisce
sotto il fardello degli abbracci
e invecchia, tradito
dalla perdita dei fluidi amorosi.
Quando era preso da smania concupiscente,
l’iniziato ai misteri esoterici
disegnava due simbolici
triangoli parzialmente sovrapposti:
uno con la punta rivolta verso l’alto
e uno capovolto;
quasi a volere visualizzare
i tormenti erotici e l’estasi della rinuncia.
La mano, agitata dal conflitto
della passione, percorreva più volte
il tracciato del poligono stellato
per ascoltare la voce del cuore, o della ragione.
Nel momento cruciale
sopraggiungeva l’illuminazione,
e sfogliava le pagine dell’Apocalissi
per incontrare il Numero 666
e provare in un solo momento
i brividi della Grande Bestia,
che si alimenta nei languori
di tutti gl’innamorati,
avviluppati e trascinati
dalle rapide dei flutti temporali.
L’lluminato Artefice, quantunque tentato,
non alimenta più i sospiri irrefrenabili
partoriti dal demone inconscio
e risponde con naturalezza ai divieti
imposti dalle regole sociali;
giacché in maniera serena
ha saputo dipanare gli Arcani
e disporli secondo l’ordine della Cabala
per raccontarne la genesi.
Il Messaggero degli Dei
Anticamente l’ermetico Messaggero
affidava le parole dettate dai numi
Nel corso dei tempi,
la sola sapienza, unita alle virtù,
non bastavano più a decifrare i segni oscuri
inviati dal lacrimoso cielo.
I templi innalzati agli Dei immortali
intristivano, intravedendo
all’orizzonte il culto
dell’ineffabile, unico Dio.
I suoi profeti raccontavano
che l’Onnipotente aveva plasmato
la specie umana a sua immagine
e somiglianza, affidandole l’anima,
destinata ad attingere
le sublimi delizie paradisiache.
Il settimo Arcano,
secondo l’Artefice che aveva disegnato i Trionfi,
incarnava la missione del divo Hermes:
eretto auriga trionfante
disceso a confortare e confondere
con messaggi criptici per nulla consolatori.
Il sette: numero taumaturgico
vincente e definitivo.
Sette: le note musicali,
i colori disegnati dall’arcobaleno,
i sigilli che spalancano l’Apocalissi,
i giorni della creazione.
Il cartomante esperto legge sette carte
sintesi d’ogni situazione,
descritta esaustivamente
da sette Trionfi.
Ancor oggi, ai confini dei lidi di luce,
accarezzati dal lento frangersi dei flutti,
s’intravedono le orme lasciate
nella quiete della marina
dai puri di spirito che hanno solcato
quelle benedette contrade.
Oltre le bianche dune,
disegnate dalle brezze,
anche il vento tace
e ti senti pervaso da una rara felicità,
come una particola nel tutto.
Un delicato aroma florale
ti accarezza
e ti fa vibrare teneramente
mentre leviti nell’eterea
dimora degli Dei.
Il vate messaggero
inviato dai signori del tempo,
trasportato nel vortice generato dall’elio,
dirada le tenebre
e sette arcobaleni
disegnano le volte celesti
per annunciare la discesa
dell’aureo cocchio
e il trionfo dell’armonia
sulle schiere figlie di Satana.
Il 7 attinge la vitalità portentosa
emanata dal Numero 1
e l’attesa pensosa trasmessa dal Numero 6.
Il 7 unifica la forza generatrice
scaturita dal Numero 3
e l’autorità indiscussa del Numero 4.
Il 7 decifra i dualismi
insiti nel Numero 2
e la natura occulta della quintessenza.
Il triplice 7 spalanca
le porte alla palingenesi, il 21:
punto d’arrivo di tutte le cose.
“O figli prediletti dei Catari,
affidatevi ai sette colori racchiusi nell’iride
per proteggervi dalle ombre della notte
e dalle subdole, suadenti voci
dei demoni invisibili,
generati dall’ineffabile inconscio.”
Parole dell’Artefice dei Trionfi.
Per non profanare il sublime,
mai avrebbe osato rappresentare
su carte da gioco
criptiche manifestazioni
d’angeliche creature.
Alcuni riferiscono,
incredibile a dirsi,
che l’occultista intravedesse
la mano sapiente dei numi
negli atomi democritei.
“In alto
vi sono solo nuvole.
In basso
gli dei invisibili, lambiccando
nel vaso primordiale
i filamenti della vita,
hanno progettato una miriade
di mirabili creature.”
La Giustizia
Il sapiente equilibrio,
sintetizzato nel Numero 8
e visualizzato dal poligono ottagonale,
insieme agli alati custodi,
sulle 64 colonne disposte a scacchiera
a formare il tempio della Giustizia:
aperto, indifeso, esposto
alle forze nemiche.
Fuori, assisi in terra,
ciechi e silenti stanno
otto giudici: simbolo
dell’ordine antico,
violato dai tribunali
approntati dall’Inquisizione,
come tavolacci di tortura.
I figli partoriti da Satana
segregano la diversità,
reprimono la fantasia,
alimentano la disuguaglianza,
legalizzano i privilegi,
rafforzano l’ignoranza,
emanano sentenze di morte
per i profeti del Nuovo Mondo.
In troppe contrade l’uomo misero
vive schiavo di un suo simile,
più ricco e fortunato.
Nelle città imperiali i sedicenti
tutori preposti a far rispettare la legalità
tollerano le violenze dei più forti
e torturano i deboli,
depredandoli d’ogni bene.
Ovunque la tua vita
non vale un soldo,
se non sei protetto dalle persone
influenti che abitano quella regione.
Da sempre i poveri
accattano nell’immondizia dei ricchi
e ringraziano Dio
per essersi così sfamati.
In ben noti sentieri,
insospettati cavalieri ti calpestano
coi zoccoli duri del loro cavallo,
solo perché sei un semplice fante.
Sacerdoti imbonitori alimentano
la sottomissione nel nome del Signore
e banchettano alla mense
apparecchiate dai ricchi
mentre il popolo muore di fame.
Esistono libri, dichiarati sacri,
che non puoi mettere in discussione,
su cui una casta privilegiata
ha instaurato la sua incrollabile Chiesa.
Giudici mercenari,
ignorando le leggi, arbitrariamente,
ti condannano a qualunque tipo di pena,
solamente perché sei uno schiavo
senza diritti.
I regnanti nascondono
tutti questi orrori
con un indecoroso silenzio
e mantengono relazioni lucrose
con terre ingiuste.
Qui, nelle regioni bagnate dal grande mare,
e là, oltre le colonne d’Ercole,
governano usurpatori; e falsi profeti,
unti nel nome del Signore,
hanno esiliato la Giustizia
che ora guida la diaspora
dei Catari perseguitati.
Un giorno, infine,
tutto questo soffrire
avrà un riscatto finale.
E dalle nostre lacrime
nasceranno innocenti creature
in armonia col vivente circostante.
Nessuno vorrà primeggiare
e la babele degli egoismi
vacillerà per sempre,
dopo tanta sofferenza.
Parola dell’ottavo Trionfo.
Sia lode all’Artefice,
che ha indicato il cammino
per la nostra peregrinazione
e segnato le 22 tappe
della metamorfosi spirituale.
Era andato a cercare
per mare e per terra
una remota plaga che ospitasse
il tempio della Giustizia,
ma è tornato alla turrita Bèziers.
Le mura destinate a crollare
hanno offerto impavidamente
asilo ed ospizio
a una torma reietta
d’eretici perseguitati.
La città della tolleranza
si è distinta per sempre
diventando il santuario
della Giustizia esiliata in terra.
L’Eremita
La cronaca dell’effimero
minuziosamente trascritta su tavole.
Ingannare i fugaci giorni
L’occultista peregrinante
ha imparato a riscattare
la banalità del quotidiano,
rischiarandola col chiarore
emesso dai tre stoppini
della lanterna tetraedrica.
Un abito forse banale,
ma insidioso per la verità,
sempre abituata a nascondersi
nelle conversazioni dei saggi.
Una meticolosa effemeride
per fotografare il tempo,
appesantendolo con un fardello invisibile,
quasi a renderlo meno corrosivo e sfuggente.
Per anni l’Eremita
ha ripetuto incessantemente
i medesimi gesti caduchi,
ma resi immortali
da una cronaca incessante.
Accompagnarsi alle ombre notturne.
Inerpicarsi verso l’eremo della montagna.
Sorseggiare la fresca rugiada mattutina
dalle foglie boschive.
Distillare 9 gocce di solitudine
nell’alambicco della propria coscienza.
Ascoltare le voci siderali
per entrare in sintonia
con le vibrazioni del firmamento.
Proteggersi con il mantello.
Prevenire gli ostacoli del terreno
con un bastone.
Quando le stelle
fanno da corolla alle tenebre,
tracciare la mappa celeste
per investigare la natura degli astri.
Gli eventi transeunti
sublimavano nell’imperituro,
grazie all’incessante
trascrizione dell’identico.
Una filosofia scaturita da un gioco di pazienza,
costruito con frammenti sparsi,
raffrontati, illuminati,
svelati nel loro silenzio ineffabile.
Anche noi, figli dei Catari,
come eterni girovaghi sotto le stelle,
abbiamo fatto luce
diradando le ombre della notte.
E gli enigmi della vita
abbiamo distillato
in ampolle di vetro,
entro cui abbiamo intravisto
fibre immortali.
Coi fardelli e le illusioni,
alimentate dai nostri alchemici sogni,
abbiamo inseguito il divenire
nel suo enigmatico intreccio
e costruito mura ciclopiche
con l’essenza dei Numeri.
Serbando come unica compagna
l’inestinguibile luce della lanterna,
per rischiarare le ombre della coscienza
e non dimenticare, sui fogli andati della vita,
i giochi e gli abbracci forti
della giovinezza.
In una notte costellata di stelle,
alleggeriti dal fardello
dei nostri quotidiani tormenti,
rinvigoriti dai tenui bagliori,
irradiati dalle miche adagiate
e abbandonate nel fondo dei torrenti
dai cercatori d’oro,
con mente lieta accompagniamo, o fratelli,
l’Eremita nella captazione
della fievole luce, emanata
dalle infinitesime pagliuzze
sparse dal vento.
Tante vaghe,
fuggevoli luminescenze,
fanno entrare in risonanza
lo spartito dell’armonia
creata dai Numeri.
E il disegno melodico originario,
in ombra,
risplende.
Il Folle
Viandante e girovago,
trasognato e assente,
e ’l pennacchio del cavaliere,
per divertire con lazzi
e intimorire, proferendo
improvvise e lucide profezie.
Fiero nei suoi logori e sudici panni,
arricchiti da una preziosa fibbia d’oro
e un bordone nodoso,
intarsiato da incomprensibili simboli.
Scandalizzati, abbiamo evitato
il confronto con il Folle,
ma, al suo passaggio, siamo stati scossi
nelle fondamenta delle nostre certezze.
Mentre disegnava zeri perfetti
e filosofeggiava sui punti della circonferenza,
spalancando voragini sul non-essere,
ci rammentava del nostro
originario senso di colpa
e sentivamo come rivelata
la ragione della nostra inquietudine.
In passato abbiamo anche elogiato
la forza innovativa della follia,
per entrare con la fiaccola del paradosso
nel meandro delle verità.
Poi ha prevalso il sonno della ragione
e sono riapparsi trionfanti
i mostri dell’intolleranza
e gli orrori del fanatismo
e della superstizione.
Deliberatamente, non inconsapevolmente,
il Folle va incontro all’abisso,
ma nessuno ha avuto il coraggio
di seguirlo nella sua coraggiosa rivolta
e scivolare nella voragine del nulla,
con la levità della sabbia
che marca il tempo
trattenuto nel fondo della clessidra.
Un incubo incomprensibile
per coloro che lo hanno visto
risalire sorridente
dalla solitudine bianca del vuoto,
con in mano l’ineffabile nulla,
condensato in uno zero:
simile ad un buco cosmico
pieno della forza del vento.
La follia degli uomini
palesa a tratti le verità
e il profeta sa riconoscere
i frammenti sparsi del futuro,
solo dopo avere sperimentato
l’estasi della stravaganza.
L’aedo sano di mente
non ha mai vergato versi
degni d’essere ascoltati.
I temerari compiono atti sconsiderati,
tuttavia possono scoprire isole inesplorate.
Il talento musicale sottrae le note
all’abituale solfeggio
e crea l’irresistibile trillo.
L’alchemica mistura rarefatta
condensa in oro
quando la materia, apparentemente
inerte e dormiente,
si lascia prendere
dalla frenesia del ditirambo.
L’occhio accecato dal fulmine
rammenta le origini
e la logica edifica sistemi filosofici
fragili come il più fino dei cristalli.
Queste verità abbiamo ascoltato
dalle voci dei folli perseguitati
e tramandato alle cure
sapienti dell’Artefice dei Trionfi.
La Ruota della Fortuna
Comparabile a un’enorme macina,
mossa da maestose pale
di un mulino a vento,
eretto con ciclopici massi,
dove i pellegrini, prostrati dal tempo
passano via e non si fermano;
la Ruota della Fortuna,
lentamente, inesorabilmente,
senza alcuna regolarità,
schiaccia, o risparmia,
riserva alterne sorti,
indifferente alla gioia e al dolore
delle creature chiamate all’appello,
senza alcuna possibilità di sottrarsi
e trascinate dentro
negl’ingranaggi del divenire.
Assiepate nella fila
assegnata ai predestinati,
non sono più libere di librarsi
le blande animule peregrinanti
in attesa della purificazione;
manca lo spazio per spiccare
il volo.
La moltitudine,
fiaccata dalle fatiche del viaggio,
ricorda i fratelli già discesi,
poi caduti e inabissati
nel fondo del mare.
Tanta fragilità ci fa sentire impotenti
nell’isola cosmica dimenticata,
dove siamo sbarcati
senza sapere nulla.
La nostra inquietudine
accompagna i tanti interrogativi
nel mezzo di un universo sereno.
Quando improvvisamente,
anche per noi si farà notte,
forse, entrando nell’eterno silenzio,
neppure rammenteremo il ricordo
più dolce nella nostra vita,
o meglio del nostro passaggio.
Vivere, dicono e credono alcuni,
significa tornare,
ricominciare un nuovo ciclo,
affrontare altre incarnazioni
secondo il piano della metempsicosi,
in attesa della purificazione finale.
Veleggia verso le tenebre
la mastodontica arca del divenire
mossa da giganti,
schiavi obbedienti
soggiogati dalla fissità della Sfinge,
signora e tiranna della Fortuna
elargita ai mortali.
Impresse sul vessillo della città ribelle,
sventolano,
come frammenti sparsi,
le quattro fatidiche lettere,
che la sapienza alimentata dalla Cabala
insegna a decifrare.
R O T A
O R A T
T A R O
A T O R
Ruota. Occulto. Terrore. Alambicco.
Orrore. Ricordo. Armonia. Trasformazione.
Terra. Aria. Ritorno. Origini.
Acqua. Terremoto. Oblio. Resurrezione.
Forse attimi, strappati
ad un imprevedibile gioco della Fortuna,
approntato da un demone
che riesce a barare e divertirsi.
O forse voci,
mescolate e confuse entro lo stridore
dell’ingranaggio che muove la possente Ruota.
O inimico infedele, inchinati
di fronte al Trionfo Numero 10,
e travasa, lacrimando, la tua superbia.
Gli Arcani illuminanti
sono gli occhi di Taro:
demiurgo e Artefice
delle 22 magiche icone
archetipi dell’esistente.
La Forza
Sfiorata appena dalle mani sottili
e dal candore della Donzella,
la fiera selvaggia si placa
e mansueta si accoccola ai suoi piedi.
Bella e di gentile aspetto,
col suo tocco soprannaturale
riesce a dare nuova linfa
ai fiori appassiti del bosco;
con la sua grazia e naturalezza di gesti
incanta anche l’uomo più rozzo
e ne ingentilisce l’animo trasfigurandolo.
La postura rammenta
una regina che, per essere rispettata,
non ha bisogno d’indossare monili preziosi,
o vesti sfarzose e non necessita
di scorta al seguito.
Quando la vedi, t’inginocchi
come di fronte ad una dea;
se invaghito, subito la desideri
e avverti un amore
privo di malizia e senza peccato.
Il solo sguardo della Donzella
ti emoziona e ti fa vibrare
all’unisono con le sue fibre.
Dai suoi occhi non stillano lacrime
ed è ancora agli albori dei tempi,
nel Paradiso originario
prima che Satana
turbasse l'equilibrio.
Concentra nelle sue mani
i poteri del Mago
e senza verga prodigiosa, spada,
aurea moneta e coppa,
riesce a compiere qualsiasi incantamento.
Il saggio, evocando il Numero 11,
sa come attingere energia dalla Donzella
e come placare la fiera aggressiva
che agita lo spirito degli egoisti.
Alla forza cieca e brutale
della masnada, prezzolata
con promesse di fortune mondane
e reclutata con la benedizione di Dio,
i Catari oppongono la forza interiore.
Coltivano l’illusione di riuscire
a sconfiggere gl’istinti
brutali e irragionevoli.
Ci vorrebbe un miracolo
per fermare l’orda sanguinaria
destinata al massacro degli eretici.
L’Artefice dei Trionfi
ha già lasciato le fragili mura
per salvare la sua ricerca sui Numeri
e quelle icone, rese magiche
da simboli alchemici.
Preparata al martirio, la risoluta Donzella
sorregge il vessillo
ricamato con le quattro lettere sacre del divenire
ed esce dalle mura, a fronte alta,
per fermare invano gl’invasati assalitori.
Appesa a testa in giù, sotto quattro lance
incrociate e conficcate al suolo
a formare una piramide,
stoicamente attende il suo sacrificio.
Anche i probiviri,
inviati per una resa onorevole,
vengono brutalmente uccisi.
Non si rendono onori
neppure ai prigionieri;
tutti conoscono il filo delle spade
e il sangue scorre copioso.
Sono più di ventimila le vittime
destinate a placare la collera divina,
scatenata, secondo dicerie infondate,
dalle opere blasfeme
e dai portamenti scandalosi degli Albigesi.
Ho visto il Pontefice di Roma
temere per i forzieri, le terre
e il primato messo in discussione
dalle parole del Vangelo;
ho ascoltato i mormorii dei nobili
che non volevano perdere i privilegi
e i benefici per i figli
destinati alla carriera ecclesiastica.
Sia lode alla Forza incarnata nella Donzella:
essa ha mostrato col suo sacrificio
la malafede dei nostri nemici
e ci ha spalancato le porte del Paradiso.
L’Appeso
Episodicamente, una meteora,
quasi un benevolo e celeste
illumina la sonnolenza indotta dalla notte,
e spalanca la coscienza offuscata
delle creature sperdute
negli oscuri meandri onirici.
La materna terra accoglie
nelle sue calde viscere
il girovagare
del monolito caduto dal cielo.
La zolla ferita
esala tiepidi vapori di zolfo
che alimentano alberi secchi,
ossuti e senza fronde.
Alle plaghe spettrali,
dove sono piovuti i segni astrali,
vanno peregrinando
tutti i veggenti:
come foglie d’autunno,
appesi, con la testa in giù,
per capovolgere
la stupidità indifferente.
Così espiando,
messa alla gogna,
s’immola la diversità:
vittima della macchina dell’Inquisizione
e protesa verso l’alba
della rigenerazione collettiva.
Inginocchiati per vegliare
sul tormento patito dalla Donzella,
ci siamo rasserenati e purificati
inseguendo la voce del silenzio cosmico.
Grazie ad una limpida operazione
suggerita dalla Cabala,
l’iniziato riesce a capovolgere il Numero 12,
per attingere il 21:
tangibile segno dell’auspicata nuova era,
quando ogni dualismo si ricomporrà
nel trionfo della ragione
e non sventoleranno vessilli
d’imbelli sovrani.
Allora saremo finalmente liberi,
senza reggitori e soldati,
non più benedetti da sacerdoti intolleranti
e strenui difensori della santa fede
che divide genti atterrite.
Quantunque stremata dal supplizio,
la martire ostinata flette la gamba
per formare una croce ideale
atta a marcare il suo sacrificio.
La città di Bèziers osserva e accompagna
il trapasso patito dalla pulzella,
diffondendo nell’aere notturna
il conforto della litania.
Troppe volte abbiamo ascoltato
vane voci illusorie.
Traditi dalle emozioni incontrollate
abbiamo percorso sentieri bui
nella speranza d’incontrare la luce.
Sappiamo che i demoni
hanno voluto confondere
ed oscurare per sempre i segni.
Smarriti ogni sera ci addentriamo
nelle plaghe inesplorate
delle sperdute origini,
grazie ai sogni misericordiosi,
concessi alla mente
purificata dal quotidiano sudore.
Per attingere conforto,
a quelle immacolate riviere
ritorneremo faticosamente,
l’ultimo giorno,
temprati nel sacrificio.
Solamente la nostra eletta compagna,
ha trovato il coraggio della testimonianza.
Mentre noi pavidi aspettavamo,
difesi da mura merlate
destinate a crollare,
come ogni effimera costruzione
della presunzione terrena.
Se, tutti insieme,
avessimo attinto il sacro furore
della Donzella e fossimo usciti compatti
dalla città dei Catari,
avremmo sbaragliato non solo
i nostri nemici, ma messo in fuga la Morte
sorpresa dall’audace sortita.
Con la sua forza interiore, la nostra eroina,
percorrendo i tortuosi labirinti
dell’albero della vita,
ha saputo rinverdire
la vaga, blanda animula
che ci portiamo appresso,
fiacchi e smarriti
in questo arido deserto.
Lei ci ha indicato il cammino,
e il nostro fragile spirito
saprà ritrovare l’armonia originaria
dei lidi di luce.
La Morte
Prostrato dinanzi al trionfo della Morte,
ogni umano rivolge lo sguardo
e aspetta un ausilio dal divino ineffabile,
la cui voce sanno ascoltare solo gli eletti.
Noi semplici fanti, poveri e smunti,
siamo stati chiamati a obbedire e pregare
infreddoliti nei nostri fagotti,
nelle fangose fosse, scavate attorno
ai bastioni di conclamati nemici;
in una guerra non nostra,
apparecchiata da stirpi di regnanti
mai visti in faccia.
Se, intimoriti, volgiamo le spalle,
ci chiamano codardi e ci passano
a filo di spada per tradimento.
Non certo per brama di ricchezza,
ma solamente per atavica fiacchezza
e sofferta indigenza,
arruolati a forza tra i crociati,
noi, questa sera,
condividiamo i fardelli di sconosciuti,
divenuti nemici per circostanze fortuite
e complotti orditi da magnati,
allevati nel lusso e nutriti di vizi capitali.
Dicono degli Albigesi
che molto hanno peccato,
offerto pubblico scandalo
e bestemmiato in ginocchio
adorando il Maligno
e venduto le loro anime preziose.
I nostri condottieri e principi
non sono da meno;
nessuno osa accusarli pubblicamente
e trovano chiese e preti
disposti ad assolvere
ogni violazione delle leggi mosaiche.
Coi bottini rubati ad altri
fanno pubbliche donazioni
ed edificano sontuose cattedrali
a gloria dei fedeli in comunione.
Dalle trame, ordite contro gli eretici peccatori,
é scaturita una santa crociata,
dove sfilano i buoni benedetti da Dio.
In cuor nostro conosciamo le nostre menzogne
e sappiamo che a calpestare queste contrade
dev’essere rimasto qualche giusto
sconosciuto e mite,
degno di ricevere la salvazione
e l’attenzione divina.
Una sola certezza:
una moltitudine ingannata
da falsi profeti e sacerdoti proni
su libri, dichiarati sacri
da scribi e zelanti farisei,
sospinti dal furore del delirio mistico.
Soldati e sudditi, sventurate pedine
sotto le insegne insanguinate
di una guerra civile
conclamata come voluta da Dio,
affratellati nel quotidiano dolore,
condividiamo un comune destino
scritto da poderosi signori
che non possiamo tradire
per mancanza di coraggio,
pensando alle nostre spose e figli
esposti alle ritorsioni e all’eterna vendetta.
Per un disegno oscuro,
ordito da un demone malvagio,
la vita scorre nell’insignificante
e s’assottiglia il tempo
segnato dalla clessidra inflessibile
che scandisce gli ultimi istanti
senz’annunciare i rintocchi finali.
Sotto l’incombente
presenza dell’invisibile Thanatos,
venuta per strappare
il più caro tra gli umani affetti
e riportarlo nell’abisso del nulla,
a malapena, riusciamo a intravedere
una falce insanguinata e arrugginita,
silenziosa e nascosta da una fitta nebbia,
tra vapori di zolfo
esalati da una terra calda,
nell’umidità della notte opprimente.
Di fronte all’ineluttabile,
ci coglie il rammarico d’avere perso
i momenti e le occasioni più belle,
ma rimandiamo tutti,
quasi per debolezza e paura.
Un universo inspiegabile ci sovrasta
e ci disperdiamo così
nelle frasi fatte di sempre:
veri luoghi rassicuranti.
Consapevoli d’esistere sospesi
tra lo sfuggire e il rincorrere,
quando la Morte ci raggiungerà
ne resteremo folgorati,
e rimpiangeremo lo stato dei sempiterni numi.
Siamo come nuvole effimere
di un temporale che muore.
E la nostra animula,
vagamente protesa a inseguire
le distorte voci del funerale,
smarrita vagherà nell’arido deserto.
Non resta che blandire
i prodigi occulti
delle metamorfosi alchemiche,
tese a distillare il sottile
dal fardello del denso,
per mimetizzarci
alla terribile falce
e, poco a poco, costruire la vita eterna.
L’Alchimista
Frotte ansiose ambiscono alla ricchezza,
lottano per il potere,
ma naufragano nell’abisso del nulla.
Manipoli sparuti meditano
sulle trasformazioni materiali e spirituali
rese possibili dall’alchimia.
Il cabalista in solitudine
osserva e accompagna la discesa
dei granelli sparsi
sul fondo della clessidra,
poi ne risale trasfigurato,
perché ha saputo attingere
dall’arido suolo
la sapienza dell’arcobaleno.
L’alchimista illuminato fonde insieme
la natura prodigiosa
celata nella quintessenza
con i quattro elementi
fondamentali della vita
condensati entro un alambicco.
Distillato a fatica
nel grande mortaio
l’oro dell’alchimista
restituisce alla materia
il soffio dell’etereo
e rende possibile la più sublime
delle metamorfosi:
il ritorno alla perduta unità originaria.
E’ questo il messaggio del Trionfo:
ripristinare l’equilibrio, infranto
quando gli Dei abbandonarono
il paradiso terrestre
e lasciarono a Satana
corpi avviliti dalla vecchiaia.
O fratelli,
non lasciamoci soffocare
dai granelli di sabbia,
ma risaliamo con forza
alle riviere di luce.
Rifioriremo rigenerati:
risorti a nuova vita.
Con sobrietà e con pazienza
l’alchimista provetto
tempera gl’ingredienti
nelle dovute proporzioni.
Nulla si crea e nulla si distrugge,
tutto si trasforma.
Questa la formula che descrive
la genesi e il divenire.
L’icona Numero 14
rappresenta la sintesi
di tutte le possibili trasformazioni.
Sia benedetta per l’eternità.
Siano dannati quei fanatici Inquisitori
che hanno manipolato
persino il nome originario del Trionfo
adattandolo alla loro fede,
chiamando in causa la virtù
cardinale della Temperanza.
Così hanno messo le candide
ali degli Angeli,
alle effigi magiche
degli eretici perseguitati.
Hanno bruciato le città dei Catari,
assassinato i figli,
violentato le donne
e sulle icone hanno seminato
un credo intollerante e menzognero.
Il Diavolo
Alle volte siamo spettatori
d’eventi prodigiosi
Accade d’intravedere una forma
d’albero, delinearsi e prendere vita
nello specchio d’acqua tremula
creato da una pozza lacustre.
Accade di librarsi, come nuvola
mossa dalla voce del vento,
prima che sopraggiunga il temporale.
Accade d’ascoltare parole
dalla bocca scolpita in un’antica statua,
rinvenuta sulla riva dopo un naufragio
e lasciata da naviganti misteriosi.
Accade di scavare con le mani tra la sabbia
e scoprirvi un millenario
fossile di pesce
impresso nella pietra.
Accade di respirare
il profumo forte sprigionato dalla terra
bagnata per la pioggia caduta
e percepire la presenza
di tutte le creature che l’hanno calpestata
e poi sono oltrepassate
in un sol istante.
Accade di giungere
in un luogo sconosciuto
e avere l’istantanea certezza
che il proprio passaggio
sia già stato lasciato su un segno
visibile in una corteccia d’albero.
Accade di ripercorrere,
in una notte senza sonno,
il tempo che scandisce
tutta la vita
e di cullarsi nei ritrovati dolci ricordi.
Accade di scorrere via, insieme
agli umori acri, travasati
nel tumulto della passione d’amore
e tornare poi nel ventre
da cui siamo venuti alla luce.
Accade di scorgere in lontananza
l’indistinta presenza del demone,
determinato a influenzare
i nostri quotidiani proponimenti.
Il Maligno, raffigurato
come mostro di pietra,
alimenta e prende vigore
dalla lussuria degli umani,
sottomessi alle naturali passioni,
proibite dall’inconscio
per alimentare coi tabù
il fascino del peccato.
Accade d’avvertire nella propria fibra
il tocco lieve, trasmesso da una mano
invisibile, manipolatrice della mente
per asservirla ad un’estranea volontà.
Accade d’intuire l’assenza di libertà
negli atti quotidiani
che siamo costretti a compiere.
Accade d’andare incontro con fierezza
alla Ruota cavalcata dalla Fortuna
e cercare un improbabile mutamento
per le oscure sorti,
carpite in un attimo fatale.
Talora, armoniche vibrazioni,
palesano la natura del 15
che docile si lascia ridurre a un 10 + 5.
Accade d’essere avvolti
dalla fragranza d’un odor perfetto,
sprigionato dai Numeri,
e fugacemente
sentirsi più vicini agli Dei,
come una particola nel tutto,
in virtù dell’energia
condensata nella Cabala:
l’unica capace di liberarci
dall’eterna schiavitù del Maligno.
Satanasso,
nascosto nei meandri della psiche
come vigile inconscio collettivo,
ci scruta e ci osserva
e fa sentire la voce infernale
camuffata come quella degli Angeli,
che non sono venuti mai
alla nostra semplice casa
a condividere miseria e paura
e non conoscono il pane nero
del nostro scontento quotidiano.
Accade talora
di non riuscire a sfuggire
alle ombre oniriche
che ci tolgono il fiato,
trascinati via in un gorgo
d’infiniti ricorrenti accadimenti.
La Torre
La paziente tempra
dell’alchimista sapiente
riscalda l’acqua, ravviva il fuoco,
per nulla scalfito dagl’insuccessi
maturati nella sua lunga ricerca.
Sulla torre abbandonata,
finora servita ai soldati
per scrutare la terra
e rintuzzare i nemici,
riesce finalmente a captare
i lampi del cielo,
catturati da un rustico
e solido marchingegno
concepito da un fabbro provetto.
“Nel segno della Cabala
la Grande Opera si è compiuta:
alle ore 22, secondo giorno,
secondo mese, Anno 1202.”
Così registra lo storico evento,
l’illuminato alchimista:
“Una notte senza luna,
tempestata di saette,
a tratti rischiaranti il cielo.
L’aria umida.
Non è caduta al suolo
una sola goccia di pioggia.
Solite le proporzioni:
due di quattro metalli
per ogni elemento fondamentale.
Lascio e affido queste note
al mortaio vivificato
dall’oro alchemico.”
Antico e austero segno dell’autorità,
isolata, inaccessibile al volgo,
custode d’ambiziosi progetti,
la Torre, raffigurata nei Trionfi,
porta incise le auree
formule degli alchimisti.
I simboli scalfiti
sulla pietra grezza
le hanno quasi trasmesso
una vitalità propria e sorprendente:
respira e fa ascoltare
la sua voce solo agli eletti
che riescono a mettervi piede.
8 + 8 = 16
Costruita assommando
il perfetto equilibrio del Numero 8
la Torre non può vacillare,
tuttavia l’Inquisitore, celebrando il Sant’uffizio,
può aspergerla d’acqua benedetta,
sottrarla alla sua funzione originaria,
mutilarne l’effigie,
divulgare tutta la potenza
del fulmine scagliato da Dio,
intimorire le creature più pavide
mostrando la possanza del poderoso
sulle forze incontrollate della natura.
Insieme con altri maghi, siamo saliti
fin sulla Torre, edificata dagli alchimisti,
per distillare con la luce,
sprigionata dal fuoco del cielo,
la pietra aurea della sapienza.
O fragili, effimere torri
della città dei Catari,
anche voi siete cadute,
sommerse dalla mano vendicativa
del Pontefice usurpatore.
Episodi violenti e sanguinosi,
caduti nell’oblio della memoria collettiva,
potrebbero riempire
intere pagine di storia.
Neppure lo scempio scellerato
dei Catari e gli orrori
provocati da questa santa crociata,
saranno stigmatizzati dagli annali,
nei modi giusti.
I più fiacchi, durante la pubblica abiura,
sempre chiederanno perdono ai carnefici,
scambiati per Angeli inviati da Dio.
Grideranno pietà per l’anima dannata
e imploreranno l’assoluzione
anche per i figli innocenti.
Il pentimento pubblico
deve trasformarsi in spettacolo,
indimenticabile per i viandanti
attratti dal gridare inquieto
di rei confessi, asserviti
per ritagliarsi in eterno
un angolo di paradiso.
Noi Catari, invece, fermi e tenaci,
abbiamo atteso, testimoniando,
confinati nelle mura turrite
e travolte dalla piena del fanatismo crociato.
E l’icona Numero 16,
adulterata astutamente dagli Inquisitori,
registrerà per sempre il sacrificio
e il coraggio con cui abbiamo affrontato
il supplizio inferto
e comminato da un tribunale iniquo
che non ha avuto nessuna pietà
e non ha saputo ascoltare
la voce esalante dalla purezza,
per nulla mortificata, del nostro spirito.
Le Stelle
Una stella gigante fissa,
coronata da una svastica uncinata e rotante,
alimentava il cosmo primordiale.
Ruotando attorno al perno dell’universo,
il sistema madre innescava
altri prodigi stellari:
laboratori molteplici di vita
per ogni creatura possibile e immaginabile.
Gli ancestrali rammentavano
la genesi del tutto.
Nessuno riusciva a immaginare
cosmogonie differenti,
o altre astruse alchimie;
le origini facevano parte
della nostra memoria
e non avremmo potuto smarrire
la via segnata dalle luci indelebili.
Agli albori dei tempi sapevamo viaggiare
ai confini dell'universo,
e, vibrando, riuscivamo a esplorare
le creature siderali.
Come meteore
navigavamo nello spazio infinito,
per ritemprarci nei lidi di luce,
in freschi abbracci,
intensi come i turbini del temporale,
quieti come la risacca del mare,
che bagna la vasta spiaggia primigenia
ove passammo tutti.
Accogliendo un’antica credenza popolare
divulgata dagli alchimisti,
sotto lo sguardo materno
profuso dalle facelle guida,
la comunità itinerante dei Catari,
protetta dal firmamento,
affida il proprio destino
alle Stelle.
Inseguiti dall’eterna crociata,
fiaccati nelle speranze, sopite
dai segni dell’imminente fine dei tempi,
travagliati a tratti anche da lotte intestine,
dopo tanto girovagare,
i figli degli Albigesi si rigenerano
nel gigante cosmico
che li soverchia e sommerge.
Inginocchiato dinanzi alla nebula celeste,
tuttavia anche il cataro in preghiera si smarrisce
e ascolta appena i sussurri
soavi delle Stelle
ora silenti.
Folgorati dall’alba della genesi,
in un frammento strappato
al censore onirico,
tutti noi intravediamo solo ombre ingannevoli,
disegnate delle luminarie
che strappano applausi
e fanno gridare di stupore
gli spettatori del firmamento di cartapesta
assiepati in un planetario
allestito per l’occasione.
Gli astri non sembrano disseminati a caso,
ma creano tante corolle di luce,
somiglianti a segni da interpretare.
Il futuro e le fortune parrebbero
appartenere al cielo
che apparecchia le carte.
Sovente i poeti vati si sono sforzati
di dare voce al silenzio cosmico
e talora nei sogni sfuggenti riescono
a intravedere tra le pieghe della memoria
un senso che sfuma rapido nell’indistinto,
come se l’Inquisitore fosse anche
il signore della nostra coscienza.
Ho sognato 17 Stelle
e nella lingua di Taro
mi hanno educato,
strappato alle false credenze
e mostrato il cammino
della redenzione
ove non perdermi.
Ed io, Artefice, travasando
sapienza in queste magiche icone,
confido nella promessa
rinsaldata dalla nostra alleanza,
perché la verità oscurata delle origini
possa di nuovo brillare nel firmamento.
Tutti, indistintamente,
da quelle riviere di luce,
un tempo, siamo partiti
e poi abbiamo smarrito
l’armonia originaria
per colpa del più presuntuoso
tra tutti gli dei,
che voleva farsi adorare
quale unico Dio
e dominare l’universo
come un despota assoluto.
La Luna
Oscurate le Stelle,
il plenilunio empie lo spazio
nella notte tersa
si fa sorpreso e nervoso
nel tentativo di sottrarsi
all’abbraccio luminescente
del sovrastante globo
quasi divertito a rivelare la scena.
Secondo credenze popolari
la Luna indurrebbe il sopore,
alimenterebbe sogni e visioni,
stravolgerebbe il tempo.
Rubati i pensamenti agli umani
riuscirebbe a intravedere
nei misteriosi risvolti della psiche
ogni maligna presenza.
Lo sfuggente inconscio,
accovacciato e ritorto,
così smascherato, si ritrarrebbe
scatenando a tratti onde d’ansia:
per nascondersi accanto ai segni occulti,
incisi sopra le pietre levigate
delle torri edificate dagli alchimisti;
o confondersi tra le insidie nascoste
affioranti da livide acque palustri,
ospiti di nemici invisibili;
per dare voce al lupo ululante
del bosco vicino
e oscurare il chiarore dell’astro
che scruta dentro.
Avvolti dal pallore lunare,
i corpi diventano eterei,
paiono senza peso;
in un paesaggio senza spessore
anche il tempo fluisce stanco
con la stessa andatura
della stravagante donzella siderale
la cui luce argentea, privata
dal calore e dal colore del fuoco,
sembra immersa nell’acqua e nell’aria.
Tutto volteggia
in un’atmosfera onirica e irreale,
permeata di particelle sonnolente e glaciali.
Le creature sottostanti
sembrano come ipnotizzate
da quella lattea enigmatica
rotondità variabile,
dai tratti ironici e sorridenti.
18 bulbi opalescenti,
galleggiano come morbido vetro
soffiato nell’aria
e fortificano l'incantamento.
A momenti assumono
i contorni della pietra filosofale
e il loro miraggio ci fortifica;
a tratti si trasformano in pioggia finissima
che rende ancora più cupa
l’incombente melanconia;
ora paiono i semi dispersi della vita
pronti a fecondare il suolo
e ridare slancio
alla sopraggiunta pavida ignavia.
La zolla riceve dubbiosa
l’omaggio caduto dal cielo,
parto della Luna,
che marca le dolorose vicende umane.
Storditi e ammaliati
dal soporifero flusso astrale,
gli animali non trovano
la forza per sottrarsi
al soffocante abbraccio;
privati della memoria non sono più niente.
Nonostante queste credenze
spaventevoli e maledette,
generate da dicerie senza fondamento,
non comprovate nei fatti e dall’osservazione,
ti esorto, fratello, a non temere la Luna:
essa protegge la fuga dei Catari
dagli instancabili persecutori.
Impara a raccogliere gl’invisibili
flussi siderei,
lasciati trascinare nei meandri onirici
evocati nella pienezza
dell’argentea sfera
che muove le maree,
regola la crescita
secondo natura per le sementi
e stimola lo sviluppo della nostra psiche.
Nella fresca notte lunare
afferra i frammenti
della vita disseminata
in una perenne odissea cosmica.
Il Sole
Pigramente, il sonnolento crepuscolo
accende nel bigio chiarore celeste
e la dispone nell’antro delle tenebre.
Sul fare dell’alba
sorge l’incanto mattinale
e l’emozione del vento di libeccio
attraversa le creature
al risveglio.
Un arcobaleno pennella
l’orizzonte bagnato dalla pioggia
coi colori dell’iride.
Un’ultima stella, messaggera
tra le facelle notturne,
saluta il risveglio lento del Sole,
sommerso da un girotondo lieto
creato da nuvole sparse.
Il nuovo giorno
é messaggero di speranza
per la comunità itinerante
dei Catari senza terra.
Perseguitati, ancora ricordano
l’odioso massacro,
alimentato dagl’incubi della notte,
avvolta tra le fiamme
ardenti dei roghi purificatori.
Nel nome eterno del Sole
vagheggiano una nuova città,
eretta con ciclopici massi
per proteggersi dalle persecuzioni future.
Sognano un regno di liberi ed eguali
fratelli, senza bandiere sovrane,
senza sacerdoti e soldati.
Un arcobaleno li guida
verso il nuovo destino,
alla ricerca della magica lira,
capace, con l’incantamento
generato dalle note,
d’animare le pietre inerti
benedette dal Sole.
Innocenti fanciulli e fanciulle
danzano sopra una corolla,
disegnata con fiori multicolori
e raccontano delicate storie
sulla città dalle ciclopiche mura,
costruite con la possente forza dell'elio
al canto di un aedo divino ed immortale.
Oggi finalmente
quelle note liete
ci hanno rinvigorito e ringiovanito,
mentre le rozze pietre senza peso
sussurravano voci soavi.
Ci siamo riconosciuti figli del Sole
e abbiamo intonato grazie al dio visibile
che accompagna le stagioni
e riscalda i nostri cuori.
Siamo stati nutriti e benedetti
con particole di luce.
In segno di devozione
abbiamo baciato l’icona
Numero 19 dei Tarocchi
e ci siamo inginocchiati in preghiera
a raccogliere un frammento d’energia,
per diradare la mestizia,
frutto di una perversa maledizione
destinata a non avere mai fine.
La nostra esistenza si era fatta
sottile e trasparente come un cristallo.
Da un momento all’altro
poteva cadere in frantumi
sotto gli sguardi assassini
dei nemici oscurantisti.
Invece era destinata a spuntare dal nulla
una musica eterea e celestiale
per regalarci attimi
di rara felicità.
Il Sole, ogni giorno, riesce
a compiere in noi
questo grande miracolo
e a salvare l’esigua comunità
derelitta e perseguitata
dall’eterna crociata
che si rinnova sempre.
Parola del Trionfo Numero 19.
Sia lode al Sole.
Ci ha condotti salvi
fino a questo misero
casolare e rifugio,
edificato con fango e pochi mattoni,
ma possente e ciclopico
nella coscienza dei puri di spirito.
Apocalissi
“Il sobrio pennello intriso nei Numeri
descrive l’Apocalissi:
e riconducendo i dualismi all’abisso originario.
Il 20, scomponibile in un 5 ripetuto 4 volte,
mostra quando la quintessenza
non amalgama più i quattro principi
fondamentali della vita.
Se la Ruota del Divenire,
raffigurata dal Numero 10,
si affida alla sapiente costruzione dell’Uno
e alle potenzialità infinite dello zero germinativo;
l’apocalittico 20 capovolge la rotazione
nel verso contrario e lo zero
svolge una funzione esattamente opposta,
riconducendo il tutto alle origini.
Senza Numeri non sarebbe possibile
descrivere il mondo e l’armonia
essenziale al suo dispiegamento.”
Questo il testamento spirituale,
affidato dall’Artefice
alla voce dei Trionfi.
Si fanno da sempre previsioni
sulla fine dei tempi
e non sono mancati profeti apocalittici.
Nutrendo profonda e malcelata invidia
verso chi resta,
ogni epoca sente d’essere l’ultima;
non vuole lasciare ad altri
la fiaccola della vita.
Soli ed erranti nell’universo sereno,
ad interrogarci, senza riuscire mai
a trovare una risposta,
alla portata dell’homo sapiens sapiens.
“Siamo come nuvole sparse
in un temporale che muore.”
Sussurrerà il primo cavaliere.
“Siamo nati dal tempo
che si frantuma
nei granelli di sabbia
adagiati sul fondo nella clessidra.”
Sentenzierà il secondo cavaliere.
“Siamo l’ancora poggiata
sull’abisso del mare,
quando è notte
e la luna fa da corolla
alle tenebre.”
Griderà il terzo cavaliere.
Come un vate silenzioso
seduto ai confini della vita,
invece non proferirà parola
il quarto sopraggiunto cavaliere.
All’unisono i 4 messaggeri,
emersi da un buco nero,
apparso nel cielo d’improvviso,
come fosse uno squarcio di tela
sul palcoscenico dell’esistenza,
annunzieranno la fine dei tempi.
Ascolteremo voci apocalittiche
e un brivido ci percorrerà la schiena,
come folgorati dalla rivelazione.
La Terra corrugherà e confonderà
valli e montagne, con un boato profondo
scaturito delle viscere più profonde.
I malfattori cercheranno
di sfuggire al loro castigo
e non troveranno luogo per nascondersi;
i vivi invidieranno le sorti dei morti,
perché intravedranno nitidamente
il peccato originario
messo a nudo nella propria coscienza.
Dal cielo cadranno folgori nerastre
e le nazioni assisteranno attonite
all’immane deflagrazione,
mentre il clamore dei dannati,
unito alla dissoluzione,
atterrirà le moltitudini indifese
prostrate sulla nuda zolla.
L’oscurità avvolgerà
il Sole e la Luna
e l’intero sistema planetario collasserà,
e svanirà alla vista delle genti smarrite
e inghiottite dal caos originario.
L’Apocalissi dei 4 elementi fondamentali,
liberi dall’abbraccio forte della quintessenza,
non attingerà il mondo siderale
con una storia e un cammino
differente dal nostro.
Qualcuno tuonerà che dobbiamo scontare
l’antico peccato commesso dall’uomo
insediatosi al vertice del creato,
con maligna presunzione.
Banditi dall’armonia primordiale paradisiaca
e confinati nel limbo dell’ignoranza,
isolati nei nostri interrogativi senza risposta.
Forse non si tratta neppure
della paventata punizione,
fatale destino dei peccatori.
Tuonare la fine dei tempi, dai pulpiti,
fa rabbrividire la creatura mortale
e indifesa nella soverchiante oscurità.
Apocalissi: rivelazione:
la genesi già prevedeva
un suo ciclo, rotondo e perfetto:
l’emanazione, l’organizzazione
e l’assimilazione verso il punto zero,
dove il Sole fatalmente
ci sta riportando.
La materia bruta,
vibrando intensamente,
paleserà dignità e forza;
si trasformerà, liberandosi
dalla schiavitù del Maligno.
E dall’immane rimescolamento
scaturirà l’aureo cocchio trionfante
inviato dai numi, pronti ad accogliere
e a portare a salvazione
i redenti figli
dei Catari trasfigurati.
Palingenesi
Veleggiando lieve,
per non sprofondare nel turbinio dei marosi;
sconquassato legno nella tempesta,
alla deriva dopo un naufragio;
il cataro, giusto e pietoso,
andrà a inginocchiarsi sulla nuda terra
per prostrarsi al baleno dell’apocalissi
che squarcerà la tenebra.
Qui risalirà le ridenti pendici
verso un materno arcobaleno,
spuntato d’un tratto
alle soglie della novella dimensione,
ove, rinato,
reciterà l’antica preghiera.
“Come un pellegrino
in attesa del sole,
disteso come neve
su prato verde,
aspettando il crepuscolo,
dall’alba intriso di pallida luce
e rinfrancato dai colori dell’iride,
vengo sospinto
agli albori del tempo,
per riposare come un bambino in una culla.
Sulla spiaggia della resurrezione
prendono corpo le effigi degli antichi saggi
e si ergono solenni
come statue avorio
di marmo pario:
la materia inerte
tornata a vibrare
di nuova energia.
Tra i cristalli pensanti di silicio
mi lascio confondere
e rimescolare al mare
e al vento soffiante
su vele dirette verso lidi lontani.
La mente, limpida
e senza barriere,
riesce ad ospitare un dio paterno,
in grado d’educarmi
al libero volo degli alati.
Una soave brezza
inonda di frescura il viso
e, bagnato da natura amica,
mi lascio cullare
dalla spuma primordiale
che ci ha visto nascere.
Poi farfalle leggiadre
danzano e favellano
ed io rincorro i pensieri condivisi
in uno spensierato gioco
di corrispondenze.
Voci, frammiste a sprazzi luminescenti,
si condensano e poi svaniscono,
ora evanescenti, ora piene:
ciclo infinito
che come torrente attraversa
la ricomposta fibra della vita.
Attorno, uno sciame di nuvole
spose di futura pioggia.
All’orizzonte spunta la palingenesi,
annunciata da una scia
d’azzurre siderali
creature cosmiche,
discese come meteore
sulla marina, infranta
dall’ondeggiare fragoroso
che si trasforma
in un’opalina mano
pronta ad afferrarmi
e confondermi nella risacca,
sempre più soave,
placidamente lenta,
quasi affettuosa.
Librato, attraverso il fluire
dell’onda corpuscolare,
mi sottraggo infine agli echi lontani
dell’oscurità diradata
e inseguo il chiarore
della ricomparsa luna,
spuntata tra il pulviscolo ridente di stelle
a pennellare il rigenerato firmamento.
Ogni sera
si può morire
per assenza di luce.
Ma oggi ho rischiarato
queste tenebre,
coi ricordi soavi
che avvolgono la mia coscienza,
protesa verso l'alba
del nuovo mondo ”.
Traspare dai Trionfi
la religiosità provenzale sparsa
Il temuto credo dei Catari
non fu totalmente estirpato
nel corso della famigerata crociata
bandita da Papa Innocenzo III
contro gli Albigesi.
L’eresia può sempre rinascere
dalle ceneri dell’originario nucleo
del pensiero manicheo,
quando ci si dispone
a fare luce sull’identità del Maligno.
Basta prendere in mano
un mazzo di Tarocchi
e ricostruire, nello spirito
dell’antica Cabala,
la loro genesi storica
fino ad oggi abbastanza oscura.
Gli Arcani Maggiori,
venuti alla luce in Béziers,
prima della sua distruzione,
negli anni a seguire furono unti
dal carisma della fede in un unico Dio
ad opera dei revisori dell’Inquisizione.
Noi vogliamo riportare alla luce
il primitivo nucleo del pensiero
dei Catari: i puri di spirito
in lotta contro il predominio politico
e spirituale della Chiesa di Roma;
allevati nella povertà,
votati alla comunione dei beni
e auspici della fine del sacerdozio.
Fino alla fine dei tempi,
la cerchia sovrana degli scriventi
s’imporrà al popolo dei parlanti,
spacciando menzogne per verità.
Tuttavia chi ascolta le voci dei Tarocchi
può uscire dal perverso meccanismo
instaurato dall’inconscio
e approdare alla libertà originaria.
La Cabala insegna che il Numero 20
provocherà profondi mutamenti,
quando scoccherà
l’ora della metamorfosi spirituale
e inizierà la fine dei tempi
fanatici e superstiziosi.
Uno è l’egoismo, l’autoritarismo,
Unica e infinita la solitudine
del Numero 1, eguale a se stesso.
L’equivalenza 1=1
illustra il principio fondamentale della Cabala
secondo cui il Mondo
è un prodotto della varietà delle Essenze.
Il tutto non è creato,
bensì, generato per trasformazione,
obbedisce a un progetto comune
di molteplici Dei.
Proclamatosi unico Dio,
un principio negativo
si pone al vertice delle forme viventi
con l’intento di primeggiare.
Il disegno del Maligno,
fin dai primordi proteso
al disfacimento del progetto originario,
brutalizzò la materia,
corrompendone l’essenza,
svilita dalla senescenza
indotta dall’abbandono dello stato di natura.
L’entità malefica si mimetizza
e agisce nell’uomo
attraverso l’inconscio originario collettivo,
che elabora le più svariate
forme di controllo della coscienza:
dall’autorità indiscussa del monarca
alla vigile presenza dell’Angelo custode,
dalla parola sacra del sacerdote
all’inviolabilità dei sacri testi.
Proprio l’inconscio originario collettivo
ha generato i grandi misteri,
per mezzo d’artifici diabolici
che nascondono le verità
e cancellano il ricordo primordiale.
Solo meditando
sulla natura del male,
decifreremo gli enigmi della vita,
creati ad arte, nel corso dei tempi,
per proteggere l’identità del Maligno
nascosto dietro l’ingannevole velo
dei più mansueti.
Anche il libro,
prodotto dai sapienti,
diventa, paradossalmente,
una forma di controllo
delle coscienze più deboli,
per impedire la libera circolazione delle idee
e imporre un modello perverso,
a cui uniformarsi e sottostare.
Queste memorie di storia,
viste attraverso la lente della Cabala,
affidiamo e tramandiamo
ai nostri fratelli perseguitati,
che lottano ancora,
sempre e ovunque,
nel nome del libero pensiero.
Biografia e opere
Alessandro Scalzaferri, nato a Roma, laureato in Filosofia, poeta, studioso dei Tarocchi.
- Genesi dei Trionfi, poemetto
Email di contatto: ledoslerris@gmail.com
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